«La similitudine è una figura retorica che mira a chiarire (logicamente o fantasticamente) un concetto presentandolo in parallelismo e in paragone con un altro, mediante la cong. come o i nessi così… come, tale… quale, come … tale, ecc.»

Dizionario Treccani

La Divina Commedia è forse il poema più ricco di similitudini; una piccola parte di esse rinviano alla mitologia e al mondo classico, la maggior parte riguardano invece il mondo della natura e degli uomini: fenomeni metereologici, luoghi, animali, piante, professioni. Molti studiosi di Dante si sono interrogati, nei secoli, sul significato della similitudine nel linguaggio poetico dello scrittore fiorentino, fornendo anche interpretazioni molto diverse tra loro. Certo è che questa figura retorica crea un senso di sublime contatto fra il mondo terreno, che appartiene all’uomo e che l’uomo presume di conoscere, e l’universo straordinario dell’aldilà, le cui manifestazioni potrebbero essere altrimenti incomprensibili. In questa pagina vengono offerte alcune tra le più celebri similitudini categorizzate per tipologia, ora di animali, ora di uomini, ora di luoghi.

Buona consultazione!

Similitudini con elementi della Natura

Acque

Inferno, canto XXIII, vv. 46-51

Dante e Virgilio, in questo canto, giungono nella sesta bolgia dell’ottavo cerchio (Malebolge), in cui sono puniti gli ipocriti. Mentre procedono soli lungo l’argine della quinta Bolgia, i Malebranche volano verso di loro per afferrarli: Virgilio prende prontamente Dante e insieme a lui si cala lungo il pendio che porta alla sesta bolgia, stando supino e reggendo il discepolo sul petto con l’amore di un padre. I due arrivano rapidissimi sul fondo della Bolgia, proprio nell’attimo in cui i Malebranche giungono in cima all’argine e non possono seguire oltre per un decreto divino.

Non corse mai sì tosto acqua per doccia
a volger ruota di molin terragno, 
quand’ella più verso le pale approccia,                   

come ’l maestro mio per quel vivagno, 
portandosene me sovra ’l suo petto, 
come suo figlio, non come compagno. 

Non corse mai così velocemente l’acqua attraverso un canale per far girare la ruota di mulino di terraferma, quando più si avvicina alle pale,

come il mio maestro per quella parete della roccia, portando me sopra il suo petto non come un compagno ma come un suo figlio.

Paradiso, canto III, vv. 10-18

Dante si trova nel primo cielo della Luna, tra gli spiriti mancanti al voto; nel corso del canto, Piccarda Donati spiegherà al poeta i gradi di beatitudine e l’inadempienza del voto. Svelata da Beatrice la verità sulla natura delle macchie lunari, Dante, all’inizio del canto, si volge verso di lei per ringraziarla, ma non fa in tempo ad esprimersi che una visione appare all’improvviso e distoglie la sua attenzione: vede le figure di spiriti pronti a parlare, talmente evanescenti da sembrargli il riflesso di un’immagine sul pelo dell’acqua, così il poeta cade nell’errore opposto a quello che indusse Narciso a innamorarsi della propria immagine riflessa. Infatti Dante si volta per vedere le figure reali che pensa siano dietro di lui, senza però vedere nulla.

Quali per vetri trasparenti e tersi,
o ver per acque nitide e tranquille,
non sì profonde che i fondi sien persi,

tornan d’i nostri visi le postille
debili sì, che perla in bianca fronte
non vien men forte a le nostre pupille;

tali vid’ io più facce a parlar pronte;
per ch’io dentro a l’error contrario corsi
a quel ch’accese amor tra l’omo e ’l fonte.

Come attraverso vetri trasparenti e puliti, o attraverso acque limpide e ferme, ma non tanto profonde che non si riesca a distinguerne il fondo,

si riflettono le immagini dei nostri volti così indistinte che una perla su una fronte bianca non giunge più chiaramente ai nostri occhi;

così io vidi dei volti pronti a parlare; per questo motivo incorsi nell’errore contrario a quello che fece nascere l’amore tra l’uomo (Narciso) e la fonte che ne rifletteva l’immagine.

Albero

Paradiso, canto XXVI, vv. 85-90

Dante si trova nell’ottavo cielo delle Stelle Fisse, tra gli spiriti trionfanti: Cristo illumina queste anime che appaiono come migliaia di luci luminosissime. Dopo aver riacquisito la vista grazie a Beatrice, Dante si accorge della comparsa di un quarto lume: la donna spiega al poeta che in quella luce è avvolta la prima anima mai creata da Dio, ovvero quella del primo progenitore, Adamo. Dante così solleva subito lo sguardo, simile a un albero piegato dal vento che si risolleva, in quanto pieno di desiderio di parlare al nuovo arrivato.

Come la fronda che flette la cima
nel transito del vento, e poi si leva
per la propria virtù che la soblima,                          

fec’io in tanto in quant’ella diceva,
stupendo, e poi mi rifece sicuro
un disio di parlare ond’io ardeva. 

Come la fronda di un albero che flette la sua estremità al soffio del vento, e poi si raddrizza a causa della sua natura che la riporta verso l’alto,

così feci io mentre ella parlava, meravigliandomi, e poi un desiderio di parlare del quale io buciavo mi rese di nuovo sicuro

Abete

Purgatorio, canto XXII, vv. 133-135

Dante e Virgilio salgono alla sesta cornice, dove si trovano le anime dei golosi, terribilmente magre perché non possono mangiare i frutti dell’albero, né bere dell’acqua della sorgente. Mentre Stazio racconta loro la sua colpa e la successiva conversione al cristianesimo, la conversazione viene interrotta dall’apparire di un albero posto a metà strada, dai cui rami pendono frutti dal dolce profumo: è simile a un abete rovesciato, si allarga progressivamente verso l’alto, forse per impedire alle anime di salire su di esso.

e come abete in alto si digrada
di ramo in ramo, così quello in giuso,
cred’io, perché persona sù non vada.

e come un abete diventa rado via via verso l’alto, di ramo in ramo, così quello fa verso il basso, credo per impedire che qualcuno vi si arrampichi.

Aria

Purgatorio, canto XXIV, vv. 145-150

Dante e Virgilio, insieme a Stazio, si trovano nella sesta cornice tra le anime dei golosi, terribilmente magre perché non possono mangiare i frutti dell’albero, né bere dell’acqua della sorgente. Alla fine del canto i tre incontrano l’angelo della temperanza che gli invita a salire alla cornice successiva. Dante è abbagliato da quella vista e segue gli altri due ascoltandone le voci, mentre sulla fronte sente un dolce vento simile a una brezza primaverile, prodotto dalle piume dell’angelo che cancella la sesta P. 

E quale, annunziatrice de li albori,
l’aura di maggio movesi e olezza,
tutta impregnata da l’erba e da’ fiori;                     

tal mi senti’ un vento dar per mezza
la fronte, e ben senti’ mover la piuma,
che fé sentir d’ambrosia l’orezza.

E come l’aria di maggio, che annuncia l’alba, si muove e profuma, tutta impregnata dell’odore dell’erba e dei fiori,

così io sentii in mezzo alla fronte un vento, e sentii muovere la piuma dell’angelo che fece odorare l’aria di ambrosia (l’angelo cancella la sesta P).

Arcobaleno

Paradiso, canto XII, vv. 16-21

Dante si trova nel quarto cielo del Sole, tra gli spiriti sapienti che si presentano come luci vivissime disposte in tre cerchi concentrici (corone), danzando e cantando; derivano dal sole la forza illuminante che li porta a penetrare la verità delle cose. Alla fine del discorso di San Tommaso, la prima corona di spiriti sapienti riprende a ruotare con una seconda corona di dodici anime che la circonda. Le due corone sembrano due arcobaleni concentrici e degli stessi colori, l’uno riflesso dall’altro, che ricordano il mito di Iride e il racconto biblico del patto tra Dio e l’uomo, dopo il Diluvio Universale.

e fanno qui la gente esser presaga,
per lo patto che Dio con Noè puose,
del mondo che già mai più non s’allaga:             

così di quelle sempiterne rose
volgiensi circa noi le due ghirlande,
e sì l’estrema a l’intima rispuose.

e come gli arcobaleni rassicurano gli uomini del fatto che non ci sarà un secondo Diluvio, per il patto stretto fra Dio e Noè:

così le due corone di quelle luci eterne ruotavano intorno a noi, e quella esterna era in perfetta armonia con quella interna. 

Carbone

Paradiso, canto XIV, vv. 52-57

Dante si trova nel quarto cielo del Sole, tra gli spiriti sapienti che si presentano come luci vivissime disposte in tre cerchi concentrici (corone), danzando e cantando; derivano dal sole la forza illuminante che li porta a penetrare la verità delle cose. In questo canto, Salomone risponde al dubbio di Dante riguardo alla possibilità che la luce emanata dai beati si conservi dopo la loro riunione con il corpo: spiega, quindi, che i beati saranno avvolti dall’alone luminoso fin quando durerà la loro beatitudine, ovvero per l’eternità. Tuttavia, il corpo resterà visibile all’interno delle luce, proprio come il carbone che arde è visibile nella fiamma che lo avvolge, e la loro vista potrà sostenere lo sguardo della luce perché gli organi del corpo saranno rafforzati.

Ma sì come carbon che fiamma rende,
e per vivo candor quella soverchia,
sì che la sua parvenza si difende;                            

così questo folgór che già ne cerchia
fia vinto in apparenza da la carne
che tutto dì la terra ricoperchia; 

Ma come il carbone avvolto dalla fiamma la supera per il suo colore bianco incandescente, in modo tale da continuare ad essere visibile,

così questo fulgore che già ci avvolge sarà vinto dall’aspetto del corpo che ora è sepolto in terra;

Paradiso, canto XVI, vv. 28-30

Dante si trova nel quinto cielo di Marte tra gli spiriti militanti che, come il dio Marte, combatterono instancabilmente per la fede; si muovono come gemme lungo i bracci di una croce sulla quale domina la figura di Cristo. Dante si rivolge a Cacciaguida, dopo la presentazione che l’avo ha fatto di se stesso, e gli domanda chi furono i suoi antenati, quale fu il suo anno di nascita, a quanto ammontava la popolazione di Firenze a quei tempi e quali erano le principali famiglie fiorentine. L’anima di Cacciaguida si illumina per la gioia di rispondere, simile a un carbone avvolto dalla fiamma che si avviva al soffiare del vento.

Come s’avviva a lo spirar d’i venti
carbone in fiamma, così vid’io quella
luce risplendere a’ miei blandimenti;  

Come il carbone tra le fiamme diventa più incandescente, se soffia il vento, così io vidi quella luce che risplendeva allettata dalle mie parole;

Calore

Paradiso, canto XIX, vv. 19-21

Dante si trova nel sesto cielo di Giove, tra gli spiriti giusti che cantano e volano formando le lettere della frase Diligite iustitiam. Di fronte al poeta si mostra la splendida figura dell’aquila con le ali aperte, costituita di mille anime folgoranti, come rubini nei quali risplende il vivo raggio del sole.Le anime iniziano a parlare ed è come se a parlare fosse l’aquila attraverso il suo becco: il suono che proviene da quell’immagine pare a Dante il calore prodotto da molte braci.

Così un sol calor di molte brage
si fa sentir, come di molti amori
usciva solo un suon di quella image

Come si emana un unico calore da molte braci, così dai numerosi beati che formavano quella immagine usciva un’unica voce.

Cielo

Paradiso, canto XXVII, vv. 67-72

Dante, in questo canto, dall’ottavo cielo delle Stelle Fisse (dove si trovano gli spiriti trionfanti) ascende con Beatrice al nono cielo del Primo Mobile. Poco prima dell’ascesa, come dal cielo cadono fiocchi di neve nel pieno dell’inverno sulla Terra, così in Paradiso Dante vede le anime dei beati salire lentamente in alto, dirette all’Empireo.

Sì come di vapor gelati fiocca
in giuso l’aere nostro, quando ’l corno
de la capra del ciel col sol si tocca,                        

in sù vid’io così l’etera addorno
farsi e fioccar di vapor triunfanti
che fatto avien con noi quivi soggiorno.

Come il nostro cielo fa cadere in basso i fiocchi di neve, quando il corno della capra del cielo (il Capricorno) è in congiunzione col Sole (d’inverno),

così io vidi il Cielo diventare brillante e fioccare verso l’alto i beati trionfanti che si erano trattenuti qui con noi.

Paradiso, canto XXXI, vv. 124-129

Dante si trova nel decimo cielo (Empireo) dove i beati, in vesti candide, sono disposti ad anfiteatro intorno ad un immenso lago di luce (la Grazia divina).
Dopo aver assistito con stupore alla rosa dei beati, vi è l’apparizione di San Bernardo di Chiaravalle che guiderà il poeta per l’ultimo tratto del suo viaggio, al posto di Beatrice. Dante vede un punto della rosa che vince tutti gli altri in splendore. Così come sulla Terra, in prossimità del sorgere del sole, il cielo diventa via via più chiaro e la luminosità decresce man mano che ci si allontana dall’oriente, allo stesso modo nella rosa dei beati il punto in cui siede Maria emana una luce vivissima, che diventa più fioca allontanandosi da essa.

E come quivi ove s’aspetta il temo
che mal guidò Fetonte, più s’infiamma,
e quinci e quindi il lume si fa scemo,                 

così quella pacifica oriafiamma
nel mezzo s’avvivava, e d’ogne parte
per igual modo allentava la fiamma;  

E come sulla Terra, dalla parte dove si attende il timone che Fetonte non seppe guidare (il Sole), il cielo si illumina di più, mentre ai lati il chiarore tende a diminuire,

così quella pacifica luce fiammeggiante (il seggio di Maria) si rischiarava al centro, e ai lati lo splendore si attenuava uniformemente;

Emisfero

Paradiso, canto XXVIII, vv. 79-87

Dante è nel nono cielo dove si trova il Primo Mobile, manifestazione simbolica di Dio, intorno al quale ruotano nove cerchi di fuoco concentrici. Beatrice risponde al dubbio di Dante, affermando che da questo punto centrale dipende tutto l’universo: la spiegazione è tale che il poeta la comprende perfettamente, come si vede il cielo limpido dopo che il vento di maestrale ha spazzato via tutte le nubi e le impurità.

Come rimane splendido e sereno
l’emisperio de l’aere, quando soffia
Borea da quella guancia ond’è più leno,              

per che si purga e risolve la roffia
che pria turbava, sì che ‘l ciel ne ride
con le bellezze d’ogne sua paroffia;                          

così fec’io, poi che mi provide
la donna mia del suo risponder chiaro,
e come stella in cielo il ver si vide.

Come l’emisfero dell’atmosfera resta terso e sereno, quando Borea soffia da quella guancia da cui spira un vento più dolce (la tramontana),

grazie al quale viene spazzata via ogni impurità che prima turbava il cielo e questo sorride con le bellezze di ogni sua parte;

così feci io, dopo che la mia donna mi rispose con il suo chiaro discorso, e la verità fu visibile come una stella in cielo.

Fiamme

Inferno, canto XIV, vv. 31-39

Dante e Virgilio arrivano al terzo girone del settimo cerchio, in cui sono puniti i violenti contro Dio (tra cui i bestemmiatori): una landa desolata dove non cresce alcuna pianta. Su tutto il sabbione cade una pioggia di larghe falde infuocate, simili a fiocchi di neve che cadono senza essere sospinti dal vento e paragonabili alla pioggia di fuoco che Alessandro Magno vide cadere dal cielo in India.

Quali Alessandro in quelle parti calde
d’India vide sopra ’l suo stuolo
fiamme cadere infino a terra salde,                              

per ch’ei provide a scalpitar lo suolo
con le sue schiere, acciò che lo vapore
mei si stingueva mentre ch’era solo:                           

tale scendeva l’etternale ardore;
onde la rena s’accendea, com’esca
sotto focile, a doppiar lo dolore.  

Come Alessandro Magno nelle calde regioni dell’India vide cadere intatte sino a terra delle fiamme sulle sue truppe,

per cui diede ordine ai soldati di scalpicciare il suolo in quanto il vapore si estingueva meglio prima di propagarsi:

così scendevano quelle fiamme eterne; per cui la sabbia si accendeva, proprio come l’esca con l’acciarino, per accrescere il dolore.

Fiumiciattolo/Ruscello

Inferno, canto XIV, vv. 79-81

Dante e Virgilio arrivano al terzo girone del settimo cerchio, in cui sono puniti i violenti contro Dio (tra cui i bestemmiatori): una landa desolata dove non cresce alcuna pianta. I due poeti proseguono in silenzio e giungono al punto in cui sgorga dalla selva un fiumiciattolo di sangue (il Flegetonte), caldo come una fonte d’acqua sulfurea chiamata Bulicame che veniva usata dalle prostitute come lavacro. Il fiume scorre su un fondale e tra due argini rocciosi, per cui Dante capisce che lì è il passaggio dove potranno procedere per attraversare il girone.

Quale del Bulicame esce ruscello
che parton poi tra lor le peccatrici,
tal per la rena giù sen giva quello.

Come dal Bulicame esce un ruscello che poi le prostitute si dividono, così quel fiumiciattolo scorreva giù per la sabbia.

Fiori

Inferno, canto II, vv. 127-132

Dante segue Virgilio lungo la strada che li condurrà alla porta dell’Inferno: il maestro spiega al poeta di esser stato scelto da Beatrice, che gli ha fatto visita nel Limbo, per venire in suo soccorso ed accompagnarlo nel suo viaggio fino al Paradiso. Terminato il suo racconto, Virgilio si rivolge nuovamente a Dante per spronarlo a vincere i suoi dubbi: le parole del maestro hanno il loro effetto in quanto il poeta si rinvigorisce proprio come dei fiorellini che il gelo notturno ha chiuso e che sono riaperti dal sole del mattino.

Quali fioretti dal notturno gelo
chinati e chiusi, poi che ’l sol li ’mbianca
si drizzan tutti aperti in loro stelo,

tal mi fec’ io di mia virtude stanca,
e tanto buono ardire al cor mi corse,
ch’i’ cominciai come persona franca: 

Come i fiori, che nel notturno gelo hanno piegato il loro stelo e chiuso le loro corolle, quando il primo sole del mattino li illumina, si risollevano sugli steli aprendosi tutti,

così accadde a me che mi ripresi dallo smarrimento e dalla prostrazione, e tanto coraggio entrò nel mio animo che risposi come una persona libera da ogni timore:

Foglie

Inferno, canto III, vv. 112-117

Dante e Virgilio varcano la porta dell’Antinferno, dove si trovano gli spiriti degli ignavi: vissuti senza prendere mai posizione e senza ideali, ora corrono nudi dietro un’insegna priva di significato, tormentati dalle punture di vespe e mosconi. Poco dopo i due poeti giungono nei pressi dell’Acheronte, sulla cui sponda sono accalcate le anime dannate e Caronte, il traghettatore, rema verso di loro a bordo di una barca: i dannati si accalcano lungo la sponda e Caronte fa loro cenno di salire. Egli stipa le anime dentro di essa e batte col suo remo qualunque anima tenti di adagiarsi sul fondo. I dannati si gettano dalla riva alla barca proprio come le foglie cadono dagli alberi in autunno. 

Come d’autunno si levan le foglie
l’una appresso de l’altra, fin che ’l ramo
vede a la terra tutte le sue spoglie,

similemente il mal seme d’Adamo
gittansi di quel lito ad una ad una,
per cenni come augel per suo richiamo.

Come in autunno si staccano dall’albero tutte le foglie una dopo l’altra, fino a che il ramo vede a terra tutte le sue spoglie,

ugualmente la malvagia discendenza del primo uomo, Adamo, si gettano da quel lido ad una ad una ai cenni di Caronte come un uccello che risponde al richiamo (del cacciatore).

Fulmine

Paradiso, canto XXIII, vv. 40-45

Dante si trova nell’ottavo cielo delle Stelle Fisse e d’improvviso vede il cielo rischiararsi sempre di più, mentre Beatrice annuncia l’arrivo di Cristo e delle schiere dei beati: migliaia di luci, simili alle stelle che circondano la luna nelle notti serene, in quanto sono illuminate da una luce assai più intensa (Cristo): all’interno di essa il poeta scorge la figura umana di Gesù, ma essa trascende le sue capacità visive e non è in grado di sostenerla. Beatrice gli spiega che tale visione supera ogni forza, poiché essa rappresenta Colui che con la sua morte riaprì la strada fra Cielo e Terra. Dante sente che la sua mente esce da se stessa, come il fulmine che esce dalla nube e scende in basso contro la sua natura, per cui non è in grado di riferire cosa essa fece in quel preciso momento.

Come foco di nube si diserra
per dilatarsi sì che non vi cape,
e fuor di sua natura in giù s’atterra,

la mente mia così, tra quelle dape
fatta più grande, di sé stessa uscìo,
e che si fesse rimembrar non sape.

Come il fulmine si libera dalla nube perché si è espanso a tal punto da non potervi più essere contenuto , e contrariamente alla sua natura (di fuoco) precipita sulla terra,

così la mia mente, divenuta più potente in mezzo a quei nutrimenti spirituali, trascese i suoi limiti, e non è in grado di ricordare quello che abbia fatto.

Fuoco

Purgatorio, canto XVIII, vv. 28-33

Dante e Virgilio si trovano nella quarta cornice, tra gli accidiosi che corrono velocemente lungo la cornice gridando esempi di colpe d’accidia punite. Virgilio spiega a Dante la sua visione dell’amore. L’anima umana si volge naturalmente verso ciò che le piace: quindi, come il fuoco è destinato a salire in alto per la sua natura, così l’anima presa dall’amore si volge verso la cosa amata, per tutto il tempo in cui questa gli procura gioia. Così, Dante comprende quanto è sbagliato considerare lodevole qualsiasi tipo di amore.

Poi, come ‘l foco movesi in altura
per la sua forma ch’è nata a salire
là dove più in sua matera dura,                              

così l’animo preso entra in disire,
ch’è moto spiritale, e mai non posa
fin che la cosa amata il fa gioire.

Poi, come il fuoco si leva verso l’alto per la sua natura, che lo spinge a salire là dove la sua materia dura più a lungo (nella sfera del fuoco),

così l’animo preso da amore nutre il desiderio, che è un movimento dello spirito, e non cessa per tutto il tempo in cui la cosa amata gli dà gioia.

Lampo

Paradiso, canto XXX, vv. 46-51

Dante ascende nel decimo cielo, l’Empireo, dove si trova la candida rosa: i beati, in vesti candide, sono disposti ad anfiteatro intorno ad un immenso lago di luce (la Grazia divina). Il poeta è subito avvolto da una luce vivissima, che sulle prime gli impedisce di vedere alcunché, proprio come gli occhi quando sono colpiti da un lampo improvviso: Beatrice gli spiega che l’Empireo accoglie sempre in tal modo l’anima che vi ascende, per disporla alla visione di Dio. 

Come sùbito lampo che discetti
li spiriti visivi, sì che priva
da l’atto l’occhio di più forti obietti,

così mi circunfulse luce viva,
e lasciommi fasciato di tal velo 
del suo fulgor, che nulla m’appariva.

Come un lampo improvviso che annulli la capacità visiva così che priva l’occhio della capacità di vedere altri oggetti più abbaglianti,

così mi circondò di fulgore una luce splendente, e mi lasciò avvolto in un tale velo proveniente dal suo splendore, che non vedevo più niente.

Mare

Inferno, canto V, vv. 28-30

Dante e Virgilio arrivano nel secondo cerchio, tra i lussuriosi: coloro che, travolti dalla passione amorosa, hanno avuto la soddisfazione dei sensi. Come in vita furono travolti dal desiderio, ora queste anime sono trascinate da un vento furioso. Superato Minosse, trovato all’entrata del cerchio, Dante si ritrova in un luogo buio, dove soffia incessante una terribile bufera che trascina i dannati e li sbatte da un lato all’altro del cerchio.

Io venni in loco d’ogne luce muto,
che mugghia come fa mar per tempesta,
se da contrari venti è combattuto.

Io ero giunto a un luogo completamente privo di luce, che muggisce come fa il mare in tempesta, quando è agitato da venti che soffiano in direzioni opposte.

Nebbia

Inferno, canto XXXI, vv. 34-39

Dante e Virgilio si avvicinano al pozzo che circonda il lago di Cocito, dove orribili giganti stanno con i piedi nel nono cerchio, che costituisce il fondo del pozzo infernale, e si ergono come altissimi edifici. Dante sembra scorgere delle alte torri e chiede spiegazioni a Virgilio: in realtà, gli spiega il maestro, ciò che vede non sono torri ma giganti conficcati e immobili. E così, come quando la nebbia si dirada e permette di vedere ciò che poco prima celava, il poeta riesce a individuare le sagome dei giganti che gli incutono timore, sepolti nella roccia fino alla vita.

Come quando la nebbia si dissipa,
lo sguardo a poco a poco raffigura
ciò che cela ’l vapor che l’aere stipa,                     

così forando l’aura grossa e scura,
più e più appressando ver’ la sponda,
fuggiemi errore e cresciemi paura;

Come quando la nebbia si dirada e lo sguardo poco a poco distingue chiaramente ciò che il vapore cela nell’aria,

così, trapassando con lo sguardo l’aria spessa e oscura, mentre ci avvicinavamo al limite del pozzo, svaniva in me l’errore e cresceva la mia paura;

Inferno, canto XXXIV, vv. 4-9

Dante e Virgilio si trovano nell’ultima zona del nono cerchio, la Giudecca, in cui, immersi completamente nel ghiaccio come pagliuzze nel vetro, sono puniti i traditori dei benefattori: essendo i peccatori più disumani, essi non hanno più diritto né al movimento né alla parola. Virgilio annuncia a Dante la prossima visione di Lucifero: il poeta obbedisce ma in lontananza e nella semioscurità distingue solo quello che gli sembra un enorme edificio, simile a un mulino che fa ruotare le sue pale al soffio del vento e che a malapena si scorge in mezzo a una fitta nebbia o quando l’oscurità della notte comincia a invadere la Terra. A questa immagine si accompagna il brivido di un forte vento che induce Dante a ripararsi dietro le spalle del maestro.

Come quando una grossa nebbia spira,
o quando l’emisperio nostro annotta,
par di lungi un molin che ’l vento gira,

veder mi parve un tal dificio allotta;
poi per lo vento mi ristrinsi retro
al duca mio; ché non lì era altra grotta.

Come quando si leva una fitta nebbia o quando nel nostro emisfero si fa buio per la notte che si avvicina, e appare da lontano un mulino che il vento fa girare,

mi parve di vedere allora un edificio (una costruzione) simile; poi per il vento mi rifugiai dietro le spalle di Virgilio, poiché lì non c’era nessun riparo dove potersi rifugiare.

Neve

Purgatorio, canto XXX, vv. 85-93

Dante si trova nel Paradiso Terrestre, dove all’apparizione di Beatrice segue la scomparsa del maestro Virgilio: questo, provoca nel poeta un enorme dolore. Dopo il duro rimprovero da parte di Beatrice, Dante trattiene le lacrime come la neve sull’Appennino che si ghiaccia al soffiare dei venti freddi (i gelidi venti schiavi, provenienti dalla Schiavonia), e poi inizia a liquefarsi, come fa il fuoco sulla cera, quando arrivano i venti caldi (dalle terre dell’Africa): così, quando gli angeli manifestano la loro compassione per lui e sembrano intercedere presso Beatrice, il gelo che gli si era stretto intorno al cuore si scioglie e il poeta si abbandona a un pianto dirotto, come prima per la scomparsa di Virgilio.

Sì come neve tra le vive travi
per lo dosso d’Italia si congela,
soffiata e stretta da li venti schiavi,

poi, liquefatta, in sé stessa trapela,
pur che la terra che perde ombra spiri,
sì che par foco fonder la candela;

così fui sanza lagrime e sospiri
anzi ’l cantar di quei che notan sempre
dietro a le note de li etterni giri;

Come la neve si congela fra i rami degli alberi lungo il dorsale appenninico percossa e indurita dai venti che soffiano dalla Schiavonia,

la quale poi, sciogliendosi, gocciola dagli strati superiori su quelli inferiori, non appena l’Africa manda i venti caldi, così che pare il fuoco che consuma la candela,

così restai io (gelato dal rimprovero), senza lacrime e sospiri prima del canto degli angeli che accordano le loro note musicali a quelle prodotte dal moto eterno delle ruote celesti;

Paradiso, canto XXXIII, vv. 64-66

Dante si trova nell’Empireo: il canto si apre con l’invocazione di San Bernardo alla Vergine, che la prega di intercedere nuovamente per il poeta, dopo averlo salvato all’inizio del suo viaggio nella selva oscura, perché possa pervenire alla visione diretta di Dio e possa conservare il suo cuore puro per sempre. Così Dante rivolge il suo sguardo verso l’alto: via via che la capacità del poeta di vedere l’Onnipotente aumenta, immergendosi nella sua luce, diminuisce in lui la possibilità di descrivere con parole umane ciò che ha visto e viene meno persino la memoria dell’evento: la memoria, funzione umana legata alla dimensione temporale, non può trattenere la dismisura dell’eternità divina. Dante è simile a colui che sogna e, al risveglio, non ricorda nulla pur conservando nell’animo una forte impressione:  come la neve si scioglie sotto i raggi del sole, osserva Dante, come gli antichi responsi della Sibilla si perdevano tra le foglie leggere mosse dal vento, così svaniscono i suoi ricordi.

Così la neve al sol si disigilla;
così al vento ne le foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla.

Come la neve si scioglie al sole, così al soffio del vento nelle foglie leggere (su cui era scritta) si perdeva la profezia della Sibilla.

Onda

Inferno, canto VII, vv. 22-24

Dante e Virgilio si trovano nel quarto cerchio, dove sono stipate le moltissime anime degli avari e  dei prodighi divisi in due schiere che procedono lungo il cerchio in senso opposto: e come le onde presso Cariddi si scontrano tra loro, così i dannati, che spingono grandi pesi, si urtano con violenza.

Come fa l’onda là sovra Cariddi,
che si frange con quella in cui s’intoppa,
così convien che qui la gente riddi.

Come fa l’onda presso Cariddi, quando si infrange con quella che proviene da Scilla, così quei dannati devono danzare la ridda.

Purgatorio, canto X, vv. 7-9

Dante e Virgilio si trovano nella prima cornice, tra i superbi: questi si muovono con lentezza e si battono il petto stando incurvati sotto fardelli di diversa pesantezza. La pena dei superbi consiste, dunque, nel camminare curvi: i volti che in vita tennero superbamente alzati, sono adesso costretti verso terra. Oltrepassata la porta del Purgatorio per entrare nella prima cornice, questa si richiude alle loro spalle; i due iniziano così a salire lungo una spaccatura nella roccia che procede a zig-zag come un’onda che va e viene, per cui il maestro avverte Dante che occorre avanzare evitando le sporgenze più aguzze.

Noi salavam per una pietra fessa,
che si moveva e d’una e d’altra parte,
sì come l’onda che fugge e s’appressa. 

Noi salivamo per un sentiero scavato nella roccia che ora rientrava ora sporgeva come l’onda che si ritrae e avanza sulla spiaggia.

Piante

Purgatorio, canto XXXII, vv. 52-60

Dante si trova nel Paradiso Terrestre, nel momento in cui la processione sta tornando indietro. Il corteo si ferma intorno a un albero spoglio, quello del bene e del male, che Dio ha posto nell’Eden: successivamente questo fiorisce, come le piante sulla Terra quando sono scaldate dal sole primaverile, e produce fiori di colore tra rosa e violetto.

Come le nostre piante, quando casca
giù la gran luce mischiata con quella
che raggia dietro a la celeste lasca,                    

turgide fansi, e poi si rinovella
di suo color ciascuna, pria che ‘l sole
giunga li suoi corsier sotto altra stella;                 

men che di rose e più che di viole
colore aprendo, s’innovò la pianta,
che prima avea le ramora sì sole. 

Come le nostre piante, quando scende la gran luce del sole mescolata a quella che brilla dietro alla costellazione dei Pesci (dell’Ariete, in primavera),

si inturgidiscono, e poi ognuna rinnova i suoi colori, prima che il sole si congiunga con un’altra stella;

così si rinnovò quella pianta che prima aveva i rami così spogli, facendo sbocciare fiori tra roseo e violetto. 

Raggio

Purgatorio, canto XV, vv. 16-24

Dante e Virgilio stanno compiendo la salita dalla seconda alla terza cornice. I raggi solari gli colpiscono di fronte in modo accecante. La luce del sole sembra riflessa in modo simile a un raggio di luce che colpisce una superficie d’acqua o uno specchio, per cui il raggio sale formando un angolo identico a quello del raggio che scende, rispetto alla verticale: è talmente forte che Dante deve distogliere lo sguardo.

Come quando da l’acqua o da lo specchio
salta lo raggio a l’opposita parte,
salendo su per lo modo parecchio                        

a quel che scende, e tanto si diparte
dal cader de la pietra in igual tratta,
sì come mostra esperienza e arte;                     

così mi parve da luce rifratta
quivi dinanzi a me esser percosso;
per che a fuggir la mia vista fu ratta. 

Come quando il raggio luminoso viene riflesso dall’acqua o da uno specchio, così che il raggio che sale forma un angolo identico

a quello del raggio che scende rispetto alla verticale al piano, conformemente a quanto l’esperienza e la scienza dimostrano;

così mi sembrò di essere colpito in quel punto da una luce riflessa, cosa che mi spinse a distogliere in fretta lo sguardo.

Paradiso, canto II, vv. 106-111

Dante e Beatrice ascendono nel primo cielo della Luna. Beatrice confuta l’opinione di Dante circa le macchie lunari e ne spiega la vera origine: ora che la sua mente è sgombra dalle sue errate convinzioni, Beatrice può darle nuova forma e illuminarla con una luce vivida.

Or, come ai colpi de li caldi rai
de la neve riman nudo il suggetto
e dal colore e dal freddo primai,                        

così rimaso te ne l’intelletto
voglio informar di luce sì vivace,
che ti tremolerà nel suo aspetto.

Ora, come ai caldi raggi del sole la neve si scioglie e si trasforma in acqua, priva del colore e del freddo della neve stessa,

così io voglio dare nuova forma al tuo intelletto che è spoglio dell’errore, illuminandoti con una luce così intensa che nel suo aspetto ti sembrerà tremolante come quella di una stella.

Paradiso, canto XXIX, vv. 25-30

Dante e Beatrice si trovano nel nono cielo (Primo Mobile). Beatrice spiega a Dante la creazione degli angeli: un atto immediato, come quando la luce attraversa un corpo trasparente, e insieme alle sostanze angeliche fu concreato anche l’ordine dell’Universo.

E come in vetro, in ambra o in cristallo
raggio resplende sì, che dal venire
a l’esser tutto non è intervallo,                                 

così ‘l triforme effetto del suo sire
ne l’esser suo raggiò insieme tutto
sanza distinzione in essordire. 

E come il raggio luminoso risplende attraverso un corpo trasparente, in modo tale che tra il suo giungere e il brillare non c’è intervallo di tempo,

così il triforme atto creativo di Dio si irradiò insieme nel suo essere, senza successione di tempo.

Ramo

Inferno, canto XIII, vv. 40-45

Dante e Virgilio fanno ingresso nel secondo girone del settimo cerchio, tra i violenti contro se stessi: i suicidi sono trasformati in alberi e i rami sono straziati dalle Arpie, perché in vita rifiutarono il corpo e lo straziarono. Dante infatti sente dei lamenti da ogni parte e non vede chi li emette, perciò rimane confuso credendo che degli spiriti si nascondano tra le piante, ma Virgilio lo invita a spezzare un ramoscello da uno degli alberi. Il poeta così spezza il ramo di un albero e dal tronco esce la voce di uno spirito che lo accusa di essere impietoso, mentre dal fusto esce sangue nero. Dal tronco spezzato escono le parole, simili ad un soffio, e insieme il sangue, cosa che induce Dante a lasciar cadere a terra il ramo e a restare in attesa, pieno di timore.

Come d’un stizzo verde ch’arso sia
da l’un de’ capi, che da l’altro geme
e cigola per vento che va via,

sì de la scheggia rotta usciva insieme
parole e sangue; ond’ io lasciai la cima
cadere, e stetti come l’uom che teme.

Come da un pezzo di ramo verde al quale ad una estremità sia appiccato il fuoco, che dall’altra stilla gocce di umore e stride a causa dell’arla interna che ne esce,

così dal pezzo di legno che avevo spezzato uscivano insieme parole e sangue, per cui io impaurito lasciai cadere il ramo e rimasi immobile come chi ha paura.

Sole

Paradiso, canto V, vv. 133-139

Dante ascende dal primo cielo della Luna al secondo cielo di Mercurio. Qui trova l’anima di Giustiniano che lo esorta a domandare. Il poeta osserva che la figura del beato è avvolta dalla luce, che aumenta all’aumentare della sua letizia: si fa così più splendente, nascondendo la sua figura all’interno, come fa il sole quando è troppo intenso e non consente di guardarlo. Il beato inizia così il suo discorso.

Sì come il sol che si cela elli stessi
per troppa luce, come ‘l caldo ha róse
le temperanze d’i vapori spessi,                            

per più letizia sì mi si nascose
dentro al suo raggio la figura santa;
e così chiusa chiusa mi rispuose 

nel modo che ‘l seguente canto canta.

Come il Sole che si nasconde alla vista per la troppa luce, non appena il calore ha dissolto gli spessi vapori che talvolta lo cingono e permettono di guardarlo,

così la santa figura del beato si celò al mio sguardo per l’accresciuta letizia; e così, avvolta dalla luce, mi rispose

nel modo che è descritto dal Canto seguente.

Paradiso, canto XXV, vv. 118-123

Dante si trova nell’ottavo cielo delle Stelle Fisse, tra gli spiriti trionfanti: spiriti illuminati da Cristo che appaiono come migliaia di luci luminosissime.  All’apparizione di san Giovanni Dante, preso dalla curiosità, fissa attentamente la sua luce come colui che fissa il sole per vederne una parziale eclissi e ne rimane abbagliato. Il santo lo rimprovera affermando che il poeta si abbaglia per cercare di vedere qualcosa che non c’è, ovvero il suo corpo mortale: questo in terra è polvere e sarà così come per tutti gli altri corpi fino al momento del Giudizio Universale.

Qual è colui ch’adocchia e s’argomenta
di vedere eclissar lo sole un poco,
che, per veder, non vedente diventa;

tal mi fec’ io a quell’ultimo foco
mentre che detto fu: «Perché t’abbagli
per veder cosa che qui non ha loco?

Come colui che fissa lo sguardo e si sforza di vedere un’eclissi parziale di sole, e che, per vederla, diventa cieco;

così divenni rispetto a quell’ultima luce splendente finché mi fu detto: «Perché ti abbagli per vedere una cosa che non si trova qui?

Paradiso, canto XXX, vv. 25-27

In questo canto Dante ascende al decimo cielo, l’Empireo, dopo la scomparsa dei cori angelici e l’accresciuta bellezza di Beatrice: il suo splendore è talmente aumentato che tutte le parole di lode rivolte a lei finora sarebbero insufficienti a rappresentarla. Dante quindi confessa la sua incapacità poetica a raffigurare una tale bellezza, giacché il solo ricordarla indebolisce la sua mente come la luce del sole offusca una vista debole.

ché, come sole in viso che più trema,
così lo rimembrar del dolce riso
la mente mia da me medesmo scema.

perché, come il sole (abbaglia) la vista che è più debole, così il ricordare il dolce sorriso di Beatrice indebolisce la mia capacità intellettiva.

Stelle

Paradiso, canto XIV, vv. 70-75

Dante si trova nel quarto cielo del Sole, tra gli spiriti sapienti: le anime si presentano come luci vivissime disposte in tre cerchi concentrici (corone), danzando e cantando. Dopo aver parlato con Salomone, Dante vede aumentare la luce tutt’intorno, come l’orizzonte quando si rischiara, e gli sembra di intravedere le luci di altri beati, come quando si scorgono le prime stelle in cielo e non si è sicuri di distinguerle bene.

E sì come al salir di prima sera
comincian per lo ciel nove parvenze,
sì che la vista pare e non par vera,                          

parvemi lì novelle sussistenze
cominciare a vedere, e fare un giro
di fuor da l’altre due circunferenze.

E come al calare della sera appaiono in cielo le prime stelle, tali che sembra e non sembra di vederle,

così mi sembrò lì di vedere le nuove luci dei beati, e mi sembrò che ruotassero intorno alle altre due corone.

Paradiso, canto XV, vv. 13-21

Dante si trova nel quinto cielo di Marte, tra gli spiriti militanti: come il dio Marte, essi combatterono instancabilmente per la fede e si muovono come gemme lungo i bracci di una croce sulla quale domina la figura di Cristo. Uno dei lumi dei beati della croce si muove lungo il braccio destro verso il centro e poi verso il basso, simile a una stella cadente che d’improvviso attraversa il cielo sereno.

Quale per li seren tranquilli e puri
discorre ad ora ad or sùbito foco,
movendo li occhi che stavan sicuri,

e pare stella che tramuti loco,
se non che da la parte ond’e’ s’accende
nulla sen perde, ed esso dura poco:

tale dal corno che ’n destro si stende
a piè di quella croce corse un astro
de la costellazion che lì resplende;

Come attraverso limpidi e sereni cieli (notturni) passa di tanto in tanto una luce improvvisa (una stella cadente), facendo muovere gli occhi che prima erano fissi (verso il cielo),

e sembra una stella che cambi posizione, se non che nel punto in cui si accende non viene meno la luce, ed il suo scintillio dura un attimo:

tale dal braccio che si stende verso destra di quella croce corse fino ai suoi piedi una stella della costellazione che risplende in quel cielo (il cielo di Marte);

Scintilla

Paradiso, canto VIII, vv. 16-21

Dante e Beatrice salgono al terzo cielo di Venere, tra gli spiriti amanti: si presentano come luci che corrono velocemente in circolo, cantando e danzando; in vita amarono prima le cose terrene e poi Dio. Queste anime ruotano in cerchio più o meno veloci, simili a faville che si distinguono nella fiamma o a una voce modulante che si sente insieme a una voce ferma.

E come in fiamma favilla si vede,
e come in voce voce si discerne,
quand’una è ferma e altra va e riede,                     

vid’io in essa luce altre lucerne
muoversi in giro più e men correnti,
al modo, credo, di lor viste interne.

E come si distingue una scintilla nella fiamma, oppure come si sente una voce modulante su una voce ferma,

così io vidi in quel Cielo luminoso altre luci, che ruotavano più o meno veloci, così come – credo – godevano della loro visione interiore.

Suono

Paradiso, canto XX, vv. 22-27

Dante è nel sesto cielo di Giove, in cui si trovano gli spiriti giusti. Questi, appena l’aquila finisce di parlare, aumentano il loro splendore e iniziano un canto. L’ardore di carità si manifesta nello scintillio delle luci e quando smettono di cantare, Dante ode una specie di mormorio, simile a un corso d’acqua che scende dal monte o al suono della cetra che vibra nel suo manico, o ancora alla zampogna quando emette il soffio.

E come suono al collo de la cetra
prende sua forma, e sì com’al pertugio
de la sampogna vento che penètra,                    

così, rimosso d’aspettare indugio,
quel mormorar de l’aguglia salissi
su per lo collo, come fosse bugio.  

E come il suono si forma sul manico della cetra, e come si sente il soffio d’aria che entra nel foro della zampogna,

così, ponendo fine a ogni indugio, quel mormorio dell’aquila salì su per il suo collo, come se questo fosse forato.

Tuono

Purgatorio, canto XIV, vv. 133-135

Dante e Virgilio si trovano nella seconda cornice, tra gli invidiosi: spiriti coperti da un panno ruvido con gli occhi cuciti con il fil di ferro, siedono con le spalle appoggiate alla parete e si sorreggono l’un l’altro. Dopo l’incontro con Guido del Duca e Rinieri da Calboli, i due poeti si allontanano in silenzio quando sentono una voce dall’alto simile a un fulmine, che dice: «Chiunque mi troverà, mi ucciderà». La voce svanisce come un tuono quando squarcia una nube; il maestro spiega quindi a Dante che ciò che ha udito è il richiamo che dovrebbe indurre l’uomo a restare nei suoi limiti.

‘Anciderammi qualunque m’apprende’;
e fuggì come tuon che si dilegua,
se sùbito la nuvola scoscende. 

Mi ucciderà chiunque mi troverà’ e fuggiva come un tuono che si dilegua quando all’improvviso squarcia una nuvola.

Paradiso, canto XXIII, vv. 97-102

Dante si trova nell’ottavo cielo delle Stelle Fisse, tra gli spiriti trionfanti. Mentre il poeta fissa la luce più intensa di Maria, dall’alto scende una corona luminosa, l’arcangelo Gabriele, che la circonda e inizia a ruotarle intorno: egli intona una dolcissima melodia, tale che anche la musica terrena più piacevole parrebbe, al confronto di quella, il fragore di un tuono.

Qualunque melodia più dolce suona
qua giù e più a sé l’anima tira,
parrebbe nube che squarciata tona,

comparata al sonar di quella lira
onde si coronava il bel zaffiro
del quale il ciel più chiaro s’inzaffira.

Qualsiasi melodia che risuoni più dolcemente sulla terra e che attragga di più, sembrerebbe un fragore di tuono,

confrontata al canto di quell’arcangelo della cui luce si coronava la preziosa gemma (Maria) di cui si adorna l’Empireo.

Similitudini con animali

Allodola

Paradiso, canto XX, vv. 73-78

Dante si trova nel sesto cielo di Giove, tra gli spiriti giusti che formano l’occhio dell’aquila. L’aquila sembra al poeta simile all’allodola, che prima vola cantando nell’aria e poi tace compiacendosi del proprio canto, mentre i beati manifestano il piacere di Dio.

Quale allodetta che ’n aere si spazia
prima cantando, e poi tace contenta
de l’ultima dolcezza che la sazia,

tal mi sembiò l’imago de la ’mprenta
de l’etterno piacere, al cui disio
ciascuna cosa qual ell’ è diventa.

Come un’allodola che vola nell’aria dapprima cantando, e poi tace appagata dalle ultime dolci note che la rendono soddisfatta,

così la figura dell’aquila mi sembrò tacere soddisfatta del piacere, che è un’impronta del piacere divino, conformandosi al cui desiderio ogni creatura diventa quel che è.

Anatra e falcone

Inferno, canto XXII, vv. 127-132

I dieci diavoli dei Malebranche scortano Dante e Virgilio lungo l’argine della quinta bolgia dell’ottavo cerchio, dove sono puniti i barattieri: coloro che, privi di morale, hanno vissuto con inganni e truffe e sono quindi immersi nella pece bollente, perché in vita usarono arti nere. Tra questi, Ciampòlo di Navarra riesce con un inganno a scampare ai diavoli immergendosi sotto la pece: i Malebranche si pentono dell’errore e Alichino si getta all’inseguimento volando sulla superficie, non riuscendo però ad afferrare il dannato come il falcone non riesce a ghermire l’anatra che si immerge sott’acqua.

Ma poco i valse: ché l’ali al sospetto
non potero avanzar: quelli andò sotto,
e quei drizzò volando suso il petto:

non altrimenti l’anitra di botto,
quando ’l falcon s’appressa, giù s’attuffa,
ed ei ritorna sù crucciato e rotto.

Ma a poco gli servì perché le sue ali non poterono avere la meglio sulla paura (del Navarrese); quello s’immerse, e questo volando diresse verso l’alto il petto:

non altrimenti l’anatra, quando si avvicina il falcone, subito si tuffa nell’acqua, e quello ritorna su corrucciato e scornato.

Anguilla

Inferno, canto XVII, vv. 104-105

Dante si trova nel terzo girone del settimo cerchio, in cui sono puniti gli usurai. Virgilio convince il mostro Gerione a trasportarli fino all’ottavo cerchio: il mostro obbedisce e si allontana dalla parete rocciosa come una navicella che lascia la proda, quindi allunga la coda al petto come un’anguilla e inizia a nuotare nell’aria con le zampe pelose.

e quella tesa, come anguilla, mosse,
e con le branche l’aere a sé raccolse.

come un’anguilla, e iniziò a dare bracciatenell’aria con le zampe pelose.

Ape

Purgatorio, canto XVIII, vv. 55-60

Dante e Virgilio si trovano nella quarta cornice, tra gli accidiosi che corrono velocemente lungo la cornice gridando esempi di colpe d’accidia punite. Il maestro spiega al poeta l’amore e il libero arbitrio, affermando che ogni anima ha in sé una disposizione che non è avvertita se non agisce, e si manifesta solo attraverso i suoi effetti. Dunque l’uomo ignora la provenienza delle prime nozioni innate e l’amore dei primi beni, che sono innati come nelle api la tendenza a produrre il miele, il che non è motivo di lode o biasimo.

Però, là onde vegna lo ’ntelletto
de le prime notizie, omo non sape,
e de’ primi appetibili l’affetto,

che sono in voi sì come studio in ape
di far lo mele; e questa prima voglia
merto di lode o di biasmo non cape.

Perciò l’uomo non sa da dove gli provenga la conoscenza dei principi logici su cui si fonda la ragione e l’attrazione verso i primi beni desiderabili,

che sono in voi come il desiderio istintivo delle api a fare il miele, e questa iniziale tendenza non contiene in sé né lode né biasimo.

Paradiso, canto XXXI, vv. 7-12

Dante si trova nel decimo cielo, l’Empireo. Il poeta osserva la candida rosa dei beati, mentre la schiera degli angeli, che vola e vede perfettamente la gloria divina, scende fra i seggi e continuamente risale verso Dio, simile a uno sciame di api che entra nei fiori e poi torna all’alveare per produrre il miele.

sì come schiera d’ape, che s’infiora
una fiata e una si ritorna
là dove suo laboro s’insapora,

nel gran fior discendeva che s’addorna
di tante foglie, e quindi risaliva
là dove ’l suo amor sempre soggiorna. 

così come uno sciame d’api che ora si immerge nei fiori e ora ritorna (all’alveare), dove la sua fatica si trasforma in dolce miele,

(la schiera degli angeli) discendeva nel gran fiore (la rosa dei beati) che si adorna di petali tanto numerosi, e da lì risaliva là dove dimora per l’eternità Dio, l’origine del suo amore.

Aquila

Purgatorio, canto IX, vv. 19-24

Dante si addormenta nella valletta: sogna di vedere sopra di sé un’aquila dalle penne d’oro, che volteggia e sembra sul punto di scendere a terra. Il poeta nel sogno pensa di essere sul monte Ida, là dove Ganimede fu rapito da Giove tramutatosi in aquila.

in sogno mi parea veder sospesa
un’aguglia nel ciel con penne d’oro,
con l’ali aperte e a calare intesa;

ed esser mi parea là dove fuoro
abbandonati i suoi da Ganimede,
quando fu ratto al sommo consistoro.

e mi pareva di essere là dove Ganimede abbandonò la sua famiglia quando fu rapito (dall’aquila) per essere innalzato al servizio degli dèi.

in sogno mi pareva di vedere ferma in cielo un’aquila con penne d’oro, con le ali aperte e in atto di scendere in basso;

Biscia

Inferno, canto XXV, vv. 19-21

Dante e Virgilio si trovano nella settima bolgia dell’ottavo cerchio, in cui sono puniti i ladri. Vanni Fucci impreca contro Dio e questo porta Dante a lanciare la sua invettiva contro Pistoia, patria del ladro. Il dannato si allontana correndo ma Caco, un centauro pieno d’ira, lo insegue con l’intenzione di punirlo. Il mostro ha sulle spalle un’incredibile massa di serpenti.

Maremma non cred’io che tante n’abbia,
quante bisce elli avea su per la groppa
infin ove comincia nostra labbia.  

Non credo che la Maremma abbia tante bisce quante erano quelle che lui aveva sulla groppa, là dove inizia l’aspetto umano.

Bue

Inferno, canto XVII, vv. 74- 75

Dante e Virgilio si trovano nel terzo girone del settimo cerchio, in cui sono puniti gli usurai. Il poeta subisce l’aggressione verbale e lo scherno di Reginaldo Scrovegni e, alla fine del discorso, egli tira fuori la lingua come un bue che si lecca il naso.

Qui distorse la bocca e di fuor trasse
la lingua, come bue che ’l naso lecchi.

A quel punto storse la bocca e tirò fuori la lingua, come un bue che si lecchi il naso.

Inferno, canto XXVII, vv. 7-15

Dante e Virgilio si trovano nell’ottava bolgia dell’ottavo cerchio, in cui sono puniti i consiglieri fraudolenti. Dopo la fiamma di Ulisse, ne arriva una seconda che fa girare i poeti emettendo un suono confuso. Come il bue che il tiranno Falaride fece costruire a Perillo muggì con la voce di chi vi veniva ucciso così da sembrare vivo anziché di rame, così la fiamma emette il suono della voce che all’inizio non trova spazio per uscire.

Come ’l bue cicilian che mugghiò prima
col pianto di colui, e ciò fu dritto,
che l’avea temperato con sua lima,

mugghiava con la voce de l’afflitto,
sì che, con tutto che fosse di rame,
pur el pareva dal dolor trafitto;                                      

così, per non aver via né forame
dal principio nel foco, in suo linguaggio
si convertian le parole grame. 

Come il bue siciliano, che muggì per la prima volta coi lamenti di colui che l’aveva forgiato col suo lavoro (e questo fu giusto),

muggiva con la voce del torturato, tanto da sembrare trafitto dal dolore anche se era fatto di rame;

così le parole misere si convertivano nel linguaggio del fuoco, perché all’inizio non trovavano una strada per uscire.

Purgatorio, canto XII, vv. 1-3

Dante e Virgilio si trovano nella prima cornice, tra i superbi: questi si muovono con lentezza e si battono il petto stando incurvati sotto fardelli di diversa pesantezza. La pena dei superbi consiste, dunque, nel camminare curvi: i volti che in vita tennero superbamente alzati, sono adesso costretti verso terra.  All’inizio del canto, Dante cammina chinato insieme a Oderisi da Gubbio, come se fossero buoi aggiogati insieme; successivamente Virgilio lo esorta a lasciare la schiera dei superbi per proseguire il cammino.

Di pari, come buoi che vanno a giogo,
m’andava io con quell’anima carca,
fin che ’l sofferse il dolce pedagogo.

Come avanzano insieme sotto il giogo i buoi così procedevo io con quell’anima china sotto il peso del masso finché lo permise il dolce mio maestro.

Cane

Inferno, canto VI, vv. 28-33

Dante e Virgilio fanno ingresso nel terzo cerchio, dove sono punti i golosi: i dannati, che in vita hanno vissuto in mezzo a cibi raffinati, sono tormentati sotto una pioggia di acqua sporca mista a grandine e neve che forma una poltiglia maleodorante.  I penitenti sono sdraiati nel fango e Cerbero latra orribilmente sopra di essi con le sue tre fauci: quando vede i due poeti gli si avventa contro, mostrando i denti, ma Virgilio raccoglie una manciata di terra e gliela getta nelle tre gole. Il mostro sembra placarsi, proprio come un cane affamato quando qualcuno gli getta un boccone.

Qual è quel cane ch’abbaiando agogna,
e si racqueta poi che ’l pasto morde,
ché solo a divorarlo intende e pugna,

cotai si fecer quelle facce lorde
de lo demonio Cerbero, che ’ntrona
l’anime sì, ch’esser vorrebber sorde.

Come fa il cane che abbaia perché vuole il cibo, e si tranquillizza appena azzanna il pasto, poiché è intento e si affatica solamente a divorarlo,

così fecero le sporche facce del demonio Cerbero, che (con i suoi latrati) rintrona le anime a tal punto che esse vorrebbero essere sorde.

Inferno, canto XVII, vv. 46-51

Dante e Virgilio si trovano nel terzo girone dell’ottavo cerchio, dove sono puntiti i violenti contro l’arte, tra cui gli usurai. Dopo l’apparizione di Gerione, nel mentre in cui Virgilio chiede al demone di scortarli sulla groppa fino in fondo al burrone, Dante osserva i dannati vicino all’orlo del cerchio: gli usurai piangono per il dolore e usano le mani per ripararsi dalle fiamme e dalla sabbia, proprio come fanno d’estate i cani col muso e le zampe per difendersi da mosche e altri insetti molesti

Per li occhi fora scoppiava lor duolo;
e di qua, di là soccorrien con le mani
quando a’ vapori, e quando al caldo suolo:

non altrimenti fan di state i cani
or col ceffo, or col piè, quando son morsi
o da pulci o da mosche o da tafani.

Il loro dolore prorompeva dagli occhi (attraverso le lacrime); e con le mani cercavano di proteggersi sia dalla fiamma che dalla rena bollente:

non diversamente fanno d’estate i cani, ora col muso ora con le zampe, quando sono morsi da pulci o da mosche o da tafani.

Inferno, canto XXI, vv. 67-72

Dante e Virgilio si trovano nella quinta bolgia dell’ottavo cerchio, in cui sono puniti i barattieri: coloro che, privi di morale, hanno vissuto con inganni e truffe. Sono immersi nella pece bollente, perché in vita usarono arti nere, e i diavoli impediscono loro di uscirne. All’apparizione dei Malebranche, Virgilio esorta Dante a nascondersi dai diavoli mentre lui va a trattare con loro: così il maestro, con un atteggiamento di certa sicurezza, giunge all’argine della bolgia. I diavoli si fanno incontro come cani arrabbiati contro un mendicante, minacciandolo con gli uncini.

Con quel furore e con quella tempesta
ch’escono i cani a dosso al poverello
che di sùbito chiede ove s’arresta,

usciron quei di sotto al ponticello,
e volser contra lui tutt’i runcigli;
ma el gridò: «Nessun di voi sia fello!».

Con lo stesso impeto e lo stesso frastuono con cui escono i cani addosso al povero che chiede l’elemosina subito nel punto in cui si è fermato,

così uscirono da sotto il ponte i diavoli e rivolsero contro di lui tutti gli uncini, ma Virgilio gridò: «Nessuno di voi sia malvagio verso di me!».

Inferno, canto XXX, vv. 16-21

Dante e Virgilio si trovano nella decima bolgia dell’ottavo cerchio, in cui sono puniti i falsari: questi sono posseduti da una rabbia furiosa, addentando gli altri compagni di sventura. Per descrivere i dannati di questo canto, il poeta ricorre a due similitudini: la prima, riferita a Giunone, e la seconda al tempo in cui Troia fu sconfitta. Dopo l’uccisione di Priamo, sua moglie Ecuba fu fatta schiava e apprese solo in seguito della morte dei suoi figli Polissena e Polidoro, per cui impazzì e si mise a latrare come un cane.

Ecuba trista, misera e cattiva,
poscia che vide Polissena morta,
e del suo Polidoro in su la riva

del mar si fu la dolorosa accorta,
forsennata latrò sì come cane;
tanto il dolor le fé la mente torta.

Ecuba triste, infelice e prigioniera, quando vide la propria figlia Polissena morta, e il corpo del suo figlio Polidoro sulla riva

del mare, piena di dolore, rinvenne, impazzita latrò come un cane; a tal punto il dolore le sconvolse la mente.

Cane e lepre

Inferno, canto XXIII, vv. 16-18

Dante e Virgilio scampano dai Malebranche: il poeta pensa ai demoni, che la beffa subita potrebbe aver reso furiosi, per cui teme che possano inseguirli per vendicarsi, come i cani inseguono le lepri.

Se l’ira sovra ’l mal voler s’aggueffa,
ei ne verranno dietro più crudeli
che ’l cane a quella lievre ch’elli acceffa’». 

Se la loro ira si aggiunge alla loro malignità, ci verranno dietro con atteggiamento più crudele di quanto non ne abbia un cane verso quella lepre che sta per addentare».

Cane

Purgatorio, canto XXVII, vv. 76-87

Dante, insieme a Virgilio e Stazio, in questo canto ascende attraverso una scala dalla settima cornice, dove si trovano i lussuriosi, al Paradiso Terrestre. I poeti, iniziata la salita, si accorgono che la notte è scesa e ciascuno di loro si corica lungo un gradino, impossibilitati a procedere per l’oscurità; Dante sta come le capre che mansuete ruminano nell’ombra e le sue guide come il mandriano che, tranquillo, pernotta col suo bestiame.

Quali si stanno ruminando manse
le capre, state rapide e proterve
sovra le cime avante che sien pranse,

tacite a l’ombra, mentre che ’l sol ferve,
guardate dal pastor, che ’n su la verga
poggiato s’è e lor di posa serve;

e quale il mandrian che fori alberga,
lungo il pecuglio suo queto pernotta,
guardando perché fiera non lo sperga;

tali eravamo tutti e tre allotta,
io come capra, ed ei come pastori,
fasciati quinci e quindi d’alta grotta.

Come le capre se ne stanno mansuete a ruminare, dopo essere state agili e spericolate sulle cime delle rocce prima di aver mangiato,

tranquille all’ombra, mentre fervono i raggi del sole, sorvegliate dal pastore che si è appoggiato sul bastone e vigila sul loro riposo;

e come il mandriano che dimora all’aperto, passa la notte presso il suo quieto bestiame, stando in guardia perché qualche fiera non lo disperda;

tali eravamo allora poi tre, io come capra ed essi come pastori posti.

Castoro

Inferno, canto XVII, vv. 19-27

Dante e Virgilio si trovano nel terzo girone dell’ottavo cerchio, dove sono puntiti i violenti contro l’arte, tra cui gli usurai.  Appare Gerione, e il poeta paragona l’animale a un burchiello, la barca che approda tenendo una parte in acqua, e al castoro che nei paesi germanici attende la preda emergendo in parte dal fiume.

Come talvolta stanno a riva i burchi,
che parte sono in acqua e parte in terra,
e come là tra li Tedeschi lurchi

lo bivero s’assetta a far sua guerra,
così la fiera pessima si stava
su l’orlo ch’è di pietra e ’l sabbion serra.

Nel vano tutta sua coda guizzava,
torcendo in sù la venenosa forca
ch’a guisa di scorpion la punta armava.

Come talvolta stanno sulla riva piccole barche, che si vengono a trovare in parte nell’acqua e in parte sulla terra ferma, e come nel paese dei Tedeschi crapuloni

il castoro si prepara a dare la caccia ai pesci, così l’orribile fiera se ne stava sull’orlo pietroso che cinge il sabbione.

La sua coda guizzava nel vuoto, volgendo verso l’alto la punta velenosa biforcuta, munita come quella dello scorpione.

Cicogna

Purgatorio, canto XXV, vv. 10-15

Dante, insieme a Virgilio e Stazio, ascende dalla sesta alla settima cornice, tra le anime dei lussuriosi: queste si muovono nelle fiamme cantando al Signore e gridando esempi di virtù e castità. Mentre percorrono la scala che porta alla cornice successiva, Dante ha un dubbio e vorrebbe esprimerlo ai due poeti ma temendo di essere importuno evita, proprio come il cicognino che leva le ali per spiccare il volo e poi non osa farlo.

E quale il cicognin che leva l’ala
per voglia di volare, e non s’attenta
d’abbandonar lo nido, e giù la cala;

tal era io con voglia accesa e spenta
di dimandar, venendo infino a l’atto
che fa colui ch’a dicer s’argomenta.

E come il piccolo della cicogna alza le ali perché vuole volare ma non avendo il coraggio di abbandonare il nido l’abbassa di nuovo;

così mi comportavo io con il desiderio, acceso ma poi spento, di fare domande giungendo fino al gesto che fa con le labbra colui che si accinge a parlare.

Paradiso, canto XIX, vv. 91-96

Dante si trova nel sesto cielo di Giove, tra gli spiriti giusti. L’aquila, formata da migliaia di questi spiriti, inizia a parlare risolvendo un vecchio dubbio di Dante, sulla imperscrutabilità della giustizia divina, e sul problema della salvezza. Al termine del suo discorso l’aquila inizia a volteggiare intorno al poeta come una cicogna che ha appena sfamato i piccoli, mentre egli la guarda ammirato.

Quale sovresso il nido si rigira
poi c’ha pasciuti la cicogna i figli,
e come quel ch’è pasto la rimira;

cotal si fece, e sì levai i cigli,
la benedetta imagine, che l’ali
movea sospinte da tanti consigli.

Come la cicogna vola intorno al nido, dopo che ha nutrito i suoi figli, e come il piccolo della cicogna che si è saziato la guarda con affetto;

tale si fece, mentre io la guardavo, la santa immagine dell’aquila, che agitava le ali mosse da tanti beati concordi.

Cigno

Purgatorio, canto XIX, vv. 46-48

Dante si trova nella quarta cornice, dove sono puniti gli avari e i prodighi: sono sdraiati con il volto verso terra, perché in vita non rivolsero mai lo sguardo al cielo e hanno mani e piedi legati, mentre ripetono salmi ed esempi di virtù premiata. Il poeta sogna la femmina balba e al suo risveglio il maestro lo esorta a riprendere il cammino, così Dante cammina curvo e pensoso, quando sente la voce dell’angelo della sollecitudine che li esorta a salire la scala con voce dolce e benevola: questo apre le ali bianche come quelle di un cigno e li introduce alla scala, stretta tra due pareti rocciose.

Con l’ali aperte, che parean di cigno,
volseci in sù colui che sì parlonne
tra due pareti del duro macigno.

Con le ali aperte, che parevano quelle di un cigno, colui (l’angelo) che così ci parlò, ci indirizzò su per l’apertura scavata fra due pareti di un duro macigno.

Cinghiale

Inferno, canto XIII, vv. 109-114

Dante e Virgilio entrano nel secondo girone del settimo cerchio, tra i violenti contro se stessi: i suicidi sono trasformati in alberi e i rami sono straziati dalle Arpie, perché in vita rifiutarono il corpo e lo straziarono. Tra questi, vi è l’incontro con Pier della Vigna che spiega come i suicidi si tramutino in piante; i due sono ancora accanto all’albero dello spirito, quando entrambi sentono dei rumori all’interno della selva, simili allo stormire del fogliame quando, in un bosco, c’è una battuta di caccia al cinghiale.

Noi eravamo ancora al tronco attesi,
credendo ch’altro ne volesse dire,
quando noi fummo d’un romor sorpresi,

similemente a colui che venire
sente ’l porco e la caccia a la sua posta,
ch’ode le bestie, e le frasche stormire. 

Eravamo ancora rivolti al tronco, pensando che l’anima ci volesse dire ancora qualcosa, quando fummo colpiti da un rumore,

come quando colui (il cacciatore) che sente arrivare là dove è appostato il cinghiale che vuole cacciare, e ode i gridi delle bestie e lo stormire delle foglie.

Colombe

Inferno, canto V, vv. 82-87

Dante e Virgilio fanno ingresso nel secondo cerchio, in cui sono puniti i lussuriosi: coloro che, travolti dalla passione amorosa, hanno avuto la soddisfazione dei sensi. Come in vita furono travolti dal desiderio, ora queste anime sono trascinate da un vento furioso. L’incontro del poeta con Francesca è preceduto da una celebre similitudine che accosta i due spiriti dannati alle colombe, tradizionali simboli di purezza, tenerezza e amore, che planano leggere verso il nido dove sono attratte dal desiderio di dolcezza che le muove; quello stesso desiderio che in vita mosse i due amanti e che fu all’origine della loro rovina. I due spiriti, benché nelle schiera dei dannati guidati dalla figura nobile di Didone, avvertono il richiamo dolce delle parole di Dante, si dividono dal gruppo e si avvicinano al poeta e a Virgilio affrontando l’aria malvagia dell’Inferno.

Quali colombe dal disio chiamate
con l’ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l’aere dal voler portate;

cotali uscir de la schiera ov’è Dido,
a noi venendo per l’aere maligno,
sì forte fu l’affettuoso grido.

Come colombe, sollecitate dall’impulso amoroso, si dirigono verso l’amato nido con le ali alzate e tese, portate dalle loro voglie,

così uscirono dalla schiera dove si trovava Didone, e vennero verso di noi attraverso l’aria infernale, tanto potente era stato il mio affettuoso richiamo.

Purgatorio, canto II, vv. 124-133

Dante e Virgilio si trovano sulla spiaggia del Purgatorio. Dopo l’apparizione dell’angelo nocchiero, vi è l’incontro con le anime dei penitenti; tra queste, troviamo quella di Casella. Il musico inizia a cantare quando Catone, rimproverando le anime di lentezza, le sprona a correre: queste fuggono disordinatamente verso il monte, come quando i colombi, che stanno beccando tranquillamente il loro pasto, sono spaventati da qualcosa e volano via d’improvviso, e anche i due poeti scappano allo stesso modo.

Come quando, cogliendo biado o loglio,
li colombi adunati a la pastura,
queti, sanza mostrar l’usato orgoglio,

se cosa appare ond’ elli abbian paura,
subitamente lasciano star l’esca,
perch’ assaliti son da maggior cura;

così vid’ io quella masnada fresca
lasciar lo canto, e fuggir ver’ la costa,
com’om che va, né sa dove riesca: 

né la nostra partita fu men tosta.

Come i colombi quando, riuniti per il pasto sono tranquilli a beccare i semi di biada o di loglio, senza mostrare il consueto atteggiamento baldanzoso,

se appare qualcosa che provoca in loro la paura, subito abbandonano il cibo perché sono assaliti da una più grave preoccupazione;

così io vidi quella turba di anime giunte da poco lasciare l’ascolto del canto e fuggire lungo la costa del monte come un uomo che cammina ma non sa dove arriverà;

né meno veloce fu la nostra partenza.

Paradiso, canto XXV, vv. 19-24

Dante si trova nell’ottavo cerchio delle Stelle Fisse, tra gli spiriti trionfanti. Dal cerchio di anime da cui era già uscito san Pietro si stacca un altro spirito, quello di san Giacomo: i due si scambiano gesti affettuosi come se fossero due colombi che tubano, ripieni di beatitudine.

Sì come quando il colombo si pone
presso al compagno, l’uno a l’altro pande,
girando e mormorando, l’affezione;

così vid’ io l’un da l’altro grande
principe glorioso essere accolto,
laudando il cibo che là sù li prande.

Come quando un colombo si posa vicino a un compagno e l’un l’altro si mostrano affetto, girando su se stessi e tubando;

così io vidi l’uno (san Giacomo) essere accolto dall’altro grande santo glorioso (san Pietro), lodando la beatitudine eterna che lassù (in Paradiso) li sazia.

Delfini

Inferno, canto XXII, vv. 19-24

Dante e Virgilio vengono scortati lungo l’argine della quinta bolgia dell’ottavo cerchio, dove si trovano i barattieri. Il poeta osserva la pece cercando di scorgere i peccatori all’interno: ne vede alcuni che emergono solo con il dorso, come i delfini quando nuotano in mare nelle vicinanze delle navi, pronti a tornare sotto.

Come i dalfini, quando fanno segno
a’ marinar con l’arco de la schiena,
che s’argomentin di campar lor legno,                         

talor così, ad alleggiar la pena,
mostrav’alcun de’ peccatori il dosso
e nascondea in men che non balena.

Come i delfini, quando emergono con la schiena e indicano ai marinai che devono salvare la loro nave (da una tempesta),

così talvolta, per alleviare la loro pena, alcuni peccatori mostravano il dorso fuori della pece, e si nascondevano in men che non si dica.

Falcone

Inferno, canto XVII, vv. 127-136

Il mostro Gerione trasporta Dante e Virgilio dal terzo girone del settimo cerchio all’ottavo. Si posa sul fondo del burrone, come un falcone richiamato dal falconiere scende lentamente a terra compiendo larghi giri nell’aria; il mostro depone i due poeti a terra, quindi si dilegua come una freccia scoccata dalla corda di un arco.

Come ’l falcon ch’è stato assai su l’ali,
che sanza veder logoro o uccello
fa dire al falconiere «Omè, tu cali!»,                            

discende lasso onde si move isnello,
per cento rote, e da lunge si pone
dal suo maestro, disdegnoso e fello;                         

così ne puose al fondo Gerione
al piè al piè de la stagliata rocca
e, discarcate le nostre persone, 

si dileguò come da corda cocca.  

Come il falcone che ha volato a lungo, e che non avendo visto né il logoro né un uccello induce il falconiere a dire: «Ahimè, devi scendere!»,

e quello scende stanco nel luogo da cui si muove agile, facendo cento giri nell’aria e si posa lontano dal suo padrone, disdegnoso e riottoso;

così Gerione ci depose a terra, proprio sul fondo di quel baratro a strapiombo, e una volta che ebbe scaricato i nostri corpi,

svanì come una freccia scoccata da un arco.

Purgatorio, canto XIX, vv. 64-67

Dante è nella quarta cornice, dove si trovano gli accidiosi. Dopo aver sognato la “femmina balba”, Dante viene svegliato da Virgilio per cercare il passaggio alla cornice seguente. Il poeta, pensieroso per quanto sognato, viene rassicurato dal maestro: la femmina, infatti, rappresenta la cupidigia dei beni materiali. Virgilio quindi esorta Dante a rivolgere l’attenzione ai beni celesti, unico richiamo dell’uomo. Così il poeta, come il falcone che fino a quel momento ha guardato in basso e poi drizza il collo al richiamo del padrone che gli porge il cibo, si affretta a percorrere la scala fino all’ingresso nella quinta cornice.

Quale ‘l falcon, che prima a’ pié si mira,
indi si volge al grido e si protende
per lo disio del pasto che là il tira,                             

tal mi fec’ io;

Come il falcone, che prima guarda a terra e poi si volge al richiamo del padrone e vola per il desiderio del cibo che lo attira,

così feci io; 

Paradiso, canto XIX, vv. 34-39

Dante è nel sesto cielo di Giove, tra gli spiriti giusti. L’aquila, nel rispondere a un vecchio dubbio di Dante relativo al destino ultraterreno dei non credenti, sembra un falcone al quale sia stato tolto il cappuccio, quando inizia a muovere la testa e a sbattere le ali, mentre le anime intonano un canto che solo i beati possono comprendere.

Quasi falcone ch’esce del cappello,
move la testa e con l’ali si plaude,
voglia mostrando e faccendosi bello,                

vid’io farsi quel segno, che di laude
de la divina grazia era contesto,
con canti quai si sa chi là sù gaude.   

Come un falcone, quando si libera dal cappuccio, muove la testa e sbatte le ali, manifestando il desiderio di volare e facendosi bello,

così io vidi fare quell’aquila che era formato dalle lodi (i beati) della grazia divina, cantando in modo che solo chi è lassù può capire.

Formica

Purgatorio, canto XXVI, vv. 31-36

Dante si trova nella settima cornice, tra le anime dei lussuriosi: queste si muovono nelle fiamme cantando al Signore e gridando esempi di virtù e castità. Sono divisi in due schiere, una delle quali è formata dai lussuriosi contro natura (sodomiti). I due gruppi si mescolano e le ombre si scambiano gesti di affetto e baci pur senza arrestare il loro cammino, felici tuttavia di quella rapida festa. Il poeta introduce adesso una celebre similitudine, quella che vede le anime delle due schiere assimilate al movimento delle formiche che, ciascuna all’interno della sua linea scura e procedendo in senso contrario, si toccano l’un l’altra con il muso e con le antenne, forse per chiedere notizie sulla via che stanno percorrendo e sapere quale sorte le attende.

Lì veggio d’ogne parte farsi presta
ciascun’ ombra e basciarsi una con una
sanza restar, contente a brieve festa;

così per entro loro schiera bruna
s’ammusa l’una con l’altra formica,
forse a spiar lor via e lor fortuna.

Lì quando stanno per incontrarsi vedo da ogni parte ogni ombra affrettarsi e senza fermarsi baciarsi l’una con l’altra, soddisfatte di questa breve manifestazione d’amore;

alla stessa maniera nella loro bruna fila le formiche quando s’incontrano si toccano muso con muso forse per conoscere la via da percorrere e il cibo da raggiungere.

Gru

Purgatorio, canto XXIV, vv. 64-69

Dante si trova nella sesta cornice, tra i golosi: le anime sono terribilmente magre perché non possono mangiare i frutti dell’albero, né bere dell’acqua della sorgente. Successivamente al discorso di Forese e all’incontro con Bonagiunta Orbicciani, le altre anime si allontanano da Dante affrettando il passo, simili alle gru che svernano lungo il Nilo, camminando spedite per la magrezza e la volontà di espiazione: solamente Forese rimane insieme al poeta, diminuendo il passo. 

Come li augei che vernan lungo ’l Nilo,
alcuna volta in aere fanno schiera,
poi volan più a fretta e vanno in filo,

così tutta la gente che lì era,
volgendo ’l viso, raffrettò suo passo,
e per magrezza e per voler leggera.

Come gli uccelli che svernano lungo il Nilo formano in volo talvolta una schiera, poi volando più in fretta formano una fila,

così tutti gli spiriti raccolti lì, volgendo lo sguardo, affrettarono i passi resi più leggeri e per la magrezza e per la volontà (che li spingeva alla purificazione dei loro peccati).

Lontra

Inferno, canto XXII, vv. 34-36

I dieci diavoli dei Malebranche scortano Dante e Virgilio lungo l’argine della quinta bolgia dell’ottavo cerchio, dove sono puniti i barattieri: sono coloro che, privi di morale, hanno vissuto con inganni e truffe. Sono immersi nella pece bollente, perché in vita usarono arti nere, e i diavoli impediscono loro di uscirne. Uno dei dannati è meno rapido di altri a tornare sotto la pece e Graffiacane, che gli è proprio di fronte, è lesto ad afferrarlo per i capelli con l’uncino e a tirarlo su come una lontra.

e Graffiacan, che li era più di contra,
li arruncigliò le ’mpegolate chiome
e trassel sù, che mi parve una lontra.

e Graffiacane che più degli altri gli stava di vicino, gli afferrò con l’uncino i capelli impastati di pece e lo sollevò in modo che mi sembrò una lontra.

Lumaca

Inferno, canto XXV, vv. 130-132

Dante e Virgilio si trovano nella settima bolgia dell’ottavo cerchio, in cui sono puniti i ladri. All’allontanarsi di Caco, alcuni ladri fiorentini subiscono orrende metamorfosi. Uno tra questi diviene serpente e il serpente uomo: infatti, l’essere in piedi ritrae il muso verso le tempie e fa uscire ai lati le orecchie, formando poi naso e labbra mentre quello a terra sporge in avanti il muso e ritrae le orecchie, come la lumaca fa con le corna, e divide in due la lingua mentre quella dell’altro si unisce.

Quel che giacea, il muso innanzi caccia,
e li orecchi ritira per la testa
come face le corna la lumaccia;  

L’essere a terra sporse in avanti il muso e ritirò le orecchie nella testa, come la lumaca ritira le corna;

Mosca, zanzara, lucciole

Inferno, canto XXVI, vv. 25-33

Dante vede l’ottava bolgia dell’ottavo cerchio, in cui sono puniti i consiglieri fraudolenti. Dante immagina di essere come il contadino che alla fine del duro lavoro quotidiano, si riposa sulla collina e osserva da lontano le vigne e i campi sotto a lui. È una sera d’estate, il momento cioè in cui le mosche che hanno volteggiato intorno a lui per ore scompaiono per lasciare posto alle zanzare che proprio al crepuscolo sono più numerose. In questo momento di dolce requie l’uomo osserva dall’alto le luci delle tante lucciole che volteggiano nella vallata dove è solito vendemmiare e arare i suoi terreni. E Dante come il contadino osserva dall’alto l’ottava bolgia che si distende sotto a lui e che si offre al suo sguardo splendente di tante fiammelle come le luci delle lucciole nella valle.

Quante ’l villan ch’al poggio si riposa,
nel tempo che colui che ’l mondo schiara
la faccia sua a noi tien meno ascosa,

come la mosca cede a la zanzara,
vede lucciole giù per la vallea,
forse colà dov’ e’ vendemmia e ara:

di tante fiamme tutta risplendea
l’ottava bolgia, sì com’io m’accorsi
tosto che fui là ’ve ’l fondo parea.

Quante (lucciole) il contadino dall’alto del poggio su cui riposa, nel tempo in cui il sole che rischiara il mondo tiene meno a lungo nascosto il suo volto a noi (in estate),

quando la mosca cede il posto alla zanzara, vede nella vallata dove forse egli vendemmia e ara:

di altrettante luci risplendeva tutta l’ottava bolgia, così come io vidi quando fui là (sul ponte) da dove appariva il fondo del vallone.

Pecorelle

Purgatorio, canto III, vv. 79-87

Dante si trova sulla spiaggia del Purgatorio. Vi è l’incontro con i contumaci: queste anime, incerte e timorose di ogni cosa nuova, sono paragonate a delle pecorelle che escono da un recinto, e solo piano piano e alla spicciolata trovano il coraggio di venire fuori. Generalmente, le pecore seguono gli spostamenti del pastore che guida il gregge, per cui quando il primo animale del gruppo si muove gli altri, lenti e timidi, rimangono prima immobili e a testa bassa e poi procedono tenendosi vicini alla loro guida e fermandosi se questa si ferma; tutti comunque avanzano sempre in modo cauto senza neanche sapere il perché dei loro spostamenti. Allo stesso modo i due poeti vedono avvicinarsi le prime anime che guidano il resto di quella sorta di mandria fortunata (in quanto destinata alla salvezza eterna), caratterizzata da volti pacifici e verecondi, e composta e docile nel suo procedere.

Come le pecorelle escon del chiuso
a una, a due, a tre, e l’altre stanno
timidette atterrando l’occhio e ’l muso;

e ciò che fa la prima, e l’altre fanno,
addossandosi a lei, s’ella s’arresta,
semplici e quete, e lo ’mperché non sanno;

sì vid’ io muovere a venir la testa
di quella mandra fortunata allotta,
pudica in faccia e ne l’andare onesta.

Come le pecorelle escono dal recinto o ad una o a due e a tre, mentre le altre timide stanno con il muso e gli occhi abbassati;

e ciò che fa la prima fanno anche le altre, facendo ressa intorno a lei se si ferma, semplici e quiete e non sanno il perché di quella sosta;

così io vidi allora avanzare le prime anime di quella schiera fortunata, umili nel volto e dignitose nel loro procedere.

Pesce

Purgatorio, canto XXVI, vv. 133-135

Dante si trova nella settima cornice, tra i lussuriosi. Vi è l’incontro con Guido Guinizzelli: al termine del suo discorso, per lasciare spazio ad Arnaut Daniel, l’anima scompare nel fuoco simile a un pesce che raggiunge il fondo dell’acqua e scompare alla vista. 

Poi, forse per dar luogo altrui secondo
che presso avea, disparve per lo foco,
come per l’acqua il pesce andando al fondo.

Poi per far posto a una seconda ombra che gli era vicina disparve in mezzo alle fiamme come nell’acqua un pesce che scende nelle profondità marine.

Paradiso, canto V, vv. 100-105

Dante e Beatrice ascendono al secondo cielo di Mercurio, tra gli spiriti attivi. Il poeta vede più di mille anime farsi avanti, simili ai pesci che in una peschiera si avvicinano al pelo dell’acqua per mangiare, tutte luminose e ognuna intenta a dire che Dante accrescerà la loro carità.

Come ‘n peschiera ch’è tranquilla e pura
traggonsi i pesci a ciò che vien di fori
per modo che lo stimin lor pastura,                       

sì vid’io ben più di mille splendori
trarsi ver’ noi, e in ciascun s’udìa:
«Ecco chi crescerà li nostri amori»

Come in una peschiera calma e tersa i pesci si avvicinano al pelo dell’acqua, credendo che ciò che viene dall’esterno sia il loro cibo,

così io vidi più di mille luci venire verso di noi e dentro ciascuna si sentiva: «Ecco chi accrescerà il nostro ardore di carità».

Ramarro

Inferno, canto XXV, vv. 79-84

Dante e Virgilio si trovano nella settima bolgia dell’ottavo cerchio, in cui sono puniti i ladri. Arrivano tre dannati, e mentre uno di questi è assalito da un serpente a sei piedi, un serpentello acceso d’ira, simile al ramarro che sotto il sole estivo cambia siepe e attraversa la via come un fulmine, nero come un granello di pepe, si avvicina al ventre degli altri due. 

Come ’l ramarro sotto la gran fersa
dei dì canicular, cangiando sepe,
folgore par se la via attraversa,                                  

sì pareva, venendo verso l’epe
de li altri due, un serpentello acceso,
livido e nero come gran di pepe; 

Come il ramarro, cambiando siepe sotto il sole estivo, sembra un fulmine quando attraversa la via, 

così sembrava un serpentello acceso d’ira che veniva verso il ventre degli altri due, livido e nero come un granello di pepe;

Rana, ranocchio

Inferno, canto XXII, vv. 25-28

Dante e Virgilio vengono scortati lungo l’argine della quinta bolgia dell’ottavo cerchio, dove si trovano i barattieri. Il poeta osserva la pece cercando di scorgere i peccatori all’interno, paragonandoli a delle rane che sporgono dall’acqua solo il muso e tengono il resto del corpo nascosto per scappare via.

E come a l’orlo de l’acqua d’un fosso
stanno i ranocchi pur col muso fuori,
sì che celano i piedi e l’altro grosso,           

sì stavan d’ogne parte i peccatori;

E come i ranocchi stanno a pelo d’acqua in un fosso, col muso fuori e celando le zampe e il resto del corpo,

così stavano i peccatori da ogni parte; 

Inferno, canto XXXII, vv. 31-36

Dante e Virgilio si trovano nel nono cerchio, in cui sono puniti i traditori. Iniziano a muoversi sulla superficie del lago del Cocito: le anime dei dannati sono imprigionate nel ghiaccio fino al viso come le rane stanno a gracidare nello stagno al principio dell’estate, livide per il freddo e battono i denti come cicogne.

E come a gracidar si sta la rana
col muso fuor de l’acqua, quando sogna
di spigolar sovente la villana;                          

livide, insin là dove appar vergogna
eran l’ombre dolenti ne la ghiaccia,
mettendo i denti in nota di cicogna. 

E come la rana gracida col muso a pelo d’acqua d’estate, quando la contadina sogna spesso di spigolare;

così le anime dolenti e livide erano immerse nel ghiaccio fino a dove appare il rossore (al viso), battendo i denti come fanno le cicogne.

Serpente

Inferno, canto XXV, vv. 58-60

Dante e Virgilio si trovano nella settima bolgia dell’ottavo cerchio, in cui sono puniti i ladri. Arrivano tre dannati, e un serpente a sei piedi si avventa su uno dei tre e gli si aggrappa attorno. Il mostro aderisce al dannato come l’edera abbarbicata a un albero, quindi i due esseri si scaldano e si fondono in una sola creatura.

Ellera abbarbicata mai non fue
ad alber sì, come l’orribil fiera
per l’altrui membra avviticchiò le sue. 

L’edera non si abbarbicò mai a un albero come l’orribile serpente era avviticchiato alle membra del dannato.

Talpe

Purgatorio, canto XVII, vv. 1-6

Dante e Virgilio escono dal fumo della terza cornice, e il poeta paragona se stesso a colui che esce poco a poco da una fitta nebbia montana, così che intravede gradualmente la luce del sole, come colui che vede il sole al tramonto filtrare tra il fumo.

Ricorditi, lettor, se mai ne l’alpe
ti colse nebbia per la qual vedessi
non altrimenti che per pelle talpe,

come, quando i vapori umidi e spessi
a diradar cominciansi, la spera
del sol debilemente entra per essi;

Se qualche volta, o lettore ti capitò in montagna di essere immerso nella nebbia che ti permetteva di vedere non diversamente dalle talpe che vedono attraverso una pellicola che hanno sugli occhi,

come quando i vapori umidi e densi cominciano a diradarsi, e la sfera del sole penetra a stento attraverso di essi;

Toro

Inferno, canto XII, vv. 22-27

Dante e Virgilio fanno ingresso nel settimo cerchio, dove sono puniti i violenti contro il prossimo: i dannati sono immersi in un fiume di sangue bollente, il Flegetonte, come in vita sparsero il sangue degli altri, e sono colpiti dalle frecce dei centauri. Sull’estremità superiore della rovina c’è il Minotauro, che appena vede i due si morde dalla rabbia; dopo un ammonimento di Virgilio, il Minotauro si allontana saltellando, come un toro che ha ricevuto un colpo mortale, e i due poeti ne approfittano per allontanarsi e calarsi giù per lo scoscendimento della roccia.

Qual è quel toro che si slaccia in quella
c’ha ricevuto già ’l colpo mortale,
che gir non sa, ma qua e là saltella,

vid’ io lo Minotauro far cotale;
e quello accorto gridò: «Corri al varco;
mentre ch’e’ ’nfuria, è buon che tu ti cale».

Come accade a quel toro che si libera da ogni laccio quando ha ricevuto il colpo mortale, e che non sa più muoversi, ma barcolla qua e là,

così io vidi comportarsi il Minotauro; e lui (Virgilio), sempre attento, mi gridò: «Corri al passaggio; è bene che tu scenda, mentre è infuriato».

Uccello

Purgatorio, canto XXIV, vv. 64-69

Dante si trova nella sesta cornice, tra i golosi.  Poco prima la profezia di Forese sulla morte di Corso Donati, le altre anime si allontanano da Dante affrettando il passo, simili alle gru che svernano lungo il Nilo, camminando spedite per la magrezza e la volontà di espiazione.

Come li augei che vernan lungo ‘l Nilo,
alcuna volta in aere fanno schiera,
poi volan più a fretta e vanno in filo,                             

così tutta la gente che lì era,
volgendo ‘l viso, raffrettò suo passo, 
e per magrezza e per voler leggera.        

Come gli uccelli (le gru) che svernano lungo il Nilo, a volte, fanno una larga schiera in cielo, poi volano più in fretta e vanno in fila,

così tutte le anime che erano lì, voltandosi, affrettarono il passo, veloci a causa della loro magrezza e della volontà di espiazione.

Paradiso, canto XVIII, vv. 73-78

Dante ascende dal quinto cielo di Marte al sesto cielo di Giove, dove si trovano gli spiriti giusti. Nel cielo appaiono le anime, le quali si uniscono a formare delle lettere dell’alfabeto, simili a degli uccelli che, dopo essersi levati in volo, si rallegrano a vicenda e formano schiere di varia forma.

E come augelli surti di rivera,
quasi congratulando a lor pasture,
fanno di sé or tonda or altra schiera,              

sì dentro ai lumi sante creature
volitando cantavano, e faciensi
or D, or I, or L in sue figure.     

E come uccelli levatisi in volo da un fiume, quasi rallegrandosi a vicenda del pasto consumato, si raggruppano in cerchio o in altre forme,

così dentro quelle luci le anime sante cantavano volteggiando, e assumevano l’aspetto ora di una ‘D’, ora di una ‘I’ o di una ‘L’.

Vespa

Purgatorio, canto XXXII, vv. 133-135

Dante si trova nel Paradiso Terrestre. Dopo la visione di vicende allegoriche del carro, il poeta vede la terra aprirsi fra le ruote del carro e uscirne un drago, che conficca la coda nel fondo del veicolo: esso trae fuori la coda maligna staccando una parte del carro, per poi allontanarsi.

e come vespa che ritragge l’ago,
a sé traendo la coda maligna,
trasse del fondo, e gissen vago vago.  

e come una vespa che ritrae il pungiglione, il drago, tirando a sé la coda maligna, portò via una parte del fondo del carro, e se ne andò serpeggiando.

Similitudini con tipologie di personaggio

Allievo

Paradiso, canto XXV, vv. 64-69

Dante si trova nell’ottavo cielo delle Stelle Fisse, tra gli spiriti trionfanti. San Giacomo interroga il poeta sulla speranza, e dopo l’intervento di Beatrice, Dante inizia a parlare come un allievo desideroso di mostrare il suo sapere di fronte al maestro, quindi afferma che la speranza è l’attesa sicura della futura beatitudine, che proviene dalla grazia di Dio e dai meriti acquisiti in precedenza.

Come discente ch’a dottor seconda
pronto e libente in quel ch’elli è esperto,
perché la sua bontà si disasconda,                      

«Spene», diss’io, «è uno attender certo
de la gloria futura, il qual produce
grazia divina e precedente merto.   

Come un allievo che risponde al maestro con prontezza e buona volontà in ciò in cui è esperto, per manifestare la sua conoscenza,

io dissi: «La speranza è la attesa sicura della futura beatitudine, la quale è prodotta dalla grazia divina e dai meriti acquisiti.

Baccelliere

Paradiso, canto XXIV, vv. 46-51

Dante si trova nell’ottavo cielo delle Stelle Fisse, tra gli spiriti trionfanti. Beatrice prega san Pietro di esaminare la fede di Dante: il poeta si sente così come il baccelliere, ovvero lo studente candidato a sostenere l’esame finale di teologia, che prepara gli argomenti della discussione e non parla finché il maestro non ha proposto la questione da dirimere, che egli dovrà confermare e non confutare.

Sì come il baccialier s’arma e non parla
fin che ’l maestro la question propone,
per approvarla, non per terminarla,                    

così m’armava io d’ogne ragione
mentre ch’ella dicea, per esser presto
a tal querente e a tal professione.  

Come il baccelliere si prepara e non parla finché il maestro non ha proposto la questione, per confermarla con argomenti a sostegno e non per portarla a compimento,

così io mi preparavo con ogni mezzo dialettico mentre Beatrice parlava, per essere pronto a un tale esaminatore (Pietro) e a una tale professione (di fede).

Cavaliere

Purgatorio, canto XXIV, vv. 94-99

Dante si trova nella sesta cornice, in cui sono puniti i golosi. Dopo un lungo dialogo con Forese, questo si allontana a passi rapidi, simile a un cavaliere che esce di schiera al galoppo per scontrarsi col nemico, mentre Dante resta in compagnia di Virgilio e Stazio.

Qual esce alcuna volta di gualoppo
lo cavalier di schiera che cavalchi,
e va per farsi onor del primo intoppo,                        

tal si partì da noi con maggior valchi;
e io rimasi in via con esso i due
che fuor del mondo sì gran marescalchi.  

Come il cavaliere esce talvolta dalla sua schiera e va per prendere l’onore del primo assalto al nemico, così Forese si allontanò da noi con passi più rapidi;

e io rimasi sulla strada con gli altri due (Virgilio e Stazio) che furono illustri maestri del mondo.

Cieco

Purgatorio, canto XIII, vv. 67-69

Dante e Virgilio arrivano alla seconda cornice, in cui sono puniti gli invidiosi. Il poeta è molto colpito dalla pena degli invidiosi: queste anime, infatti, non vedono nulla.

E come a li orbi non approda il sole,
così a l’ombre quivi, ond’io parlo ora,
luce del ciel di sé largir non vole; 

E come ai ciechi non arriva la luce del sole, così a quelle anime nella Cornice, di cui sto parlando, il cielo non vuole concedere la sua luce;

Purgatorio, canto XVI, vv. 10-15

Dante e Virgilio si trovano nella terza cornice, tra gli iracondi che si muovono lentamente avvolti da un fumo denso e acre che impedisce la vista. Il poeta, come il cieco si affida alla sua guida per seguire il giusto cammino ed evitare impedimenti che possano fargli male o ucciderlo, avanza in quello spazio, respirando un’aria acre e sporca; ed obbedisce alle parole del suo duca che lo esorta a non allontanarsi da lui.

Sì come cieco va dietro a sua guida
per non smarrirsi e per non dar di cozzo
in cosa che ’l molesti, o forse ancida,

m’andava io per l’aere amaro e sozzo,
ascoltando il mio duca che diceva
pur: «Guarda che da me tu non sia mozzo».

Così come un cieco va dietro alla sua guida per non smarrirsi e per non urtare qualcosa che gli possa provocare danno o magari addirittura lo uccida,

me ne andavo io in mezzo a quel fumo acre al respiro e nero alla vista, ascoltando la mia guida che seguitava a dire: «Attento a non allontanarti da me».

Citaredo

Paradiso, canto XX, vv. 142-148

Dante si trova nel sesto cielo di Giove, tra gli spiriti giusti.  L’aquila, dopo aver indicato due pagani, Traiano e Rifeo, spiega il perché questi si trovino in Paradiso. L’aquila pone fine al suo discorso, che è stato per Dante una dolcissima medicina: e come il bravo citarista accompagna il canto con il suono delle corde, rendendolo più piacevole, allo stesso modo mentre l’aquila parlava il poeta ha visto le due luci, che corrispondevano alle anime di Rifeo e Traiano, far lampeggiare all’unisono il proprio splendore, come due occhi che sbattono simultaneamente. 

E come a buon cantor buon citarista
fa seguitar lo guizzo de la corda,
in che più di piacer lo canto acquista,                    

sì, mentre ch’e’ parlò, sì mi ricorda
ch’io vidi le due luci benedette,
pur come batter d’occhi si concorda, 

con le parole mover le fiammette.  

E come un bravo citaredo accompagna col suono delle corde il bravo cantore, ciò che accresce la piacevolezza del canto,

così, mentre l’aquila parlava, mi ricordo di aver visto le due luci benedette (Traiano e Rifeo) che lampeggiavano insieme, come il batter degli occhi avviene simultaneamente.

Cuoco

Inferno, canto XXI, vv. 52-57

Dante giunge al ponte che sovrasta la quinta bolgia in cui sono puniti i barattieri, coloro che, privi di morale, hanno vissuto con inganni e truffe e sono quindi immersi nella pece bollente, perché in vita usarono arti nere, e i diavoli impediscono loro di uscirne. Mentre Dante osserva la superficie, un diavolo getta un dannato dentro la pece: questo si immerge e torna a galla tutto imbrattato, mentre gli altri demoni gli urlano di rimanere sotto la pece bollente se non vuole essere tormentato. I diavoli così lo afferrano con bastoni uncinati, straziandolo e alludendo ironicamente al suo peccato di baratteria, in modo tale che sembrano sguatteri che intingono i pezzi di carne nella pentola.

Poi l’addentar con più di cento raffi,
disser: «Coverto convien che qui balli,
sì che, se puoi, nascosamente accaffi».

Non altrimenti i cuoci a’ lor vassalli
fanno attuffare in mezzo la caldaia
la carne con li uncin, perché non galli.

Poi l’addentarono con innumerevoli uncini [raffi] dicendo: «Ti conviene ballare coperto (dalla pece) cosicché, se ti riesce, arraffi di nascosto».

Non diversamente i cuochi ordinano ai loro aiutanti di tuffare nella pentola i pezzi di carne con gli uncini, in modo che non galleggi.

Donna

Paradiso, canto XVIII, vv. 64-69

Dante sale dal quarto cielo di Marte al sesto cielo di Giove, dove si trovano gli spiriti giusti. Il poeta si accorge che la stella ha mutato colore, passando dal rosso di Marte all’argento di Giove, proprio come una donna che dopo essere arrossita riacquista in breve tempo il suo candore.

E qual è ‘l trasmutare in picciol varco
di tempo in bianca donna, quando ‘l volto
suo si discarchi di vergogna il carco,                    

tal fu ne li occhi miei, quando fui vòlto,
per lo candor de la temprata stella
sesta, che dentro a sé m’avea ricolto. 

E come una donna dal colorito pallido riacquista velocemente il suo aspetto, quando il suo volto perde il rossore della vergogna,

così io vidi quando guardai la sesta stella (di Giove) che aveva un colore più candido di Marte e che mi aveva accolto in sé.

Fanciulla

Paradiso, canto XXV, vv. 103-108

Dante si trova nell’ottavo cielo delle Stelle Fisse, tra gli spiriti trionfanti. Tra le anime intorno a Dante appare una luce intensissima: san Giovanni. Il beato si avvicina a Pietro e Giacomo, simile a una fanciulla che si alza ed entra in una danza per rendere omaggio alla sposa novella, mentre gli altri due santi ruotano cantando.

E come surge e va ed entra in ballo
vergine lieta, sol per fare onore
a la novizia, non per alcun fallo,                               

così vid’io lo schiarato splendore
venire a’ due che si volgieno a nota
qual conveniesi al loro ardente amore.  

E come una fanciulla lieta si alza ed entra nella danza, solo per rendere omaggio alla sposa novella e non per un intento superbo,

così io vidi quella luce intensissima (san Giovanni Evangelista) avvicinarsi alle altre due che ruotavano e cantavano, in modo confacente al loro ardore di carità.

Paradiso, canto XXVII, vv. 31-36

Dante si trova nell’ottavo cielo delle Stelle Fisse, tra gli spiriti trionfanti. San Pietro lancia una invettiva contro i papi che hanno disonorato il seggio pontificio: tutto il Paradiso arrossisce e anche Beatrice cambia espressione, come una donna onesta che ascolta le parole peccaminose altrui.

E come donna onesta che permane
di sé sicura, e per l’altrui fallanza,
pur ascoltando, timida si fane,                                  

così Beatrice trasmutò sembianza;
e tale eclissi credo che ’n ciel fue,
quando patì la supprema possanza. 

E come una donna onesta che resta sicura di sé e ascoltando le parole peccaminose di altri arrossisce,

così Beatrice mutò aspetto; e credo che in cielo ci fu una tale eclissi, il giorno in cui morì Cristo.

Fanciullo

Purgatorio, canto XXXI, vv. 64-69

Dante si trova nel Paradiso Terrestre insieme a Beatrice che volge al poeta nuove accuse e rimproveri: Dante ascolta in silenzio e a capo chino come un fanciullo che viene rimproverato e si pente, quando la beata lo invita ad alzare lo sguardo e a sopportare una pena maggiore osservandola.

Quali fanciulli, vergognando, muti
con li occhi a terra stannosi, ascoltando
sé riconoscendo e ripentuti,

tal mi stav’ io; ed ella disse: «Quando
per udir se’ dolente, alza la barba,
e prenderai più doglia riguardando».

Come i fanciulli se ne stanno muti, vergognandosi e con gli occhi bassi, ascoltando e riconoscendo, pentiti, di aver sbagliato,

tale stavo io ed ella disse: «Dato che sei addolorato per aver sentito (le mie parole) solleva il mento e guardandomi avrai un dolore maggiore».

Paradiso, canto XXIII, vv. 121-126

Dante si trova nell’ottavo cielo delle Stelle Fisse, tra gli spiriti trionfanti. Successivamente all’apparizione dell’arcangelo Gabriele, Cristo e Maria ascendono all’Empireo: e come un bambino che tende le braccia verso la madre, dopo che si è nutrito del suo latte, per l’amore di lei che prorompe in ogni suo atto e in ogni suo comportamento, così ogni beato, ogni splendore, sospinge verso l’alto la cima della propria fiamma, dimostrando il profondo e intimo affetto che nutrono per Maria.

E come fantolin che ’nver’ la mamma
tende le braccia, poi che ’l latte prese,
per l’animo che ’nfin di fuor s’infiamma; 

ciascun di quei candori in sù si stese
con la sua cima, sì che l’alto affetto
ch’elli avieno a Maria mi fu palese.

E come il bambino che tende le braccia verso la mamma, dopo aver preso il latte, per l’amore che si manifesta anche negli atteggiamenti esteriori;

così ciascuna di quelle anime luminose si protese verso l’alto con la sua luce, dimostrandomi chiaramente il profondo affetto che nutrivano per Maria.

Paradiso, canto XXX, vv. 82-87

In questo canto scompaiono i cori angelici, Beatrice accresce la sua bellezza e vi è l’ascesa di Dante al decimo cielo, l’Empireo. Il poeta introduce adesso una similitudine con la quale ancora una volta assimila il suo comportamento a quello ingenuo di un bambino colto in questo caso da un desiderio intenso: come infatti un fanciullo che con così immediato slancio protende il suo volto verso il latte se, al mattino, si sveglia molto più tardi rispetto al solito, così fa lui che per rendere i suoi occhi specchi più capaci di riflettere la luce divina si china verso quell’onda di luce che si origina da Dio perché con essa l’uomo si migliori.

Non è fantin che sì sùbito rua
col volto verso il latte, se si svegli
molto tardato da l’usanza sua,

come fec’ io, per far migliori spegli
ancor de li occhi, chinandomi a l’onda
che si deriva perché vi s’immegli;

Non c’è neonato che si volti così velocemente con il volto verso il latte, se si sveglia molto più tardi della solita ora,

come feci io, per rendere i miei occhi ancora migliori, chinandomi verso l’acqua del fiume che scorre perché vi si diventi migliori;

Paradiso, canto XXX, vv. 139-141

In questo canto scompaiono i cori angelici e Beatrice accresce la sua bellezza. Successivamente Dante ascende al decimo cielo, l’Empireo, il fiume di luce e la candida rosa dei beati. Beatrice, quindi, conduce il poeta al centro della rosa celeste – il concilio dei beati – indicando un seggio su cui siederà, al momento della morte, Arrigo VII di Lussemburgo, l’imperatore che raddrizzerà l’Italia quando questa non sarà pronta a riceverlo; la stolta cupidigia che ammalia il mondo di Dante, conclude la beata, ha reso gli uomini simili al lattante che muore di fame ma caccia via la balia, l’unica che potrebbe nutrirlo. Il riferimento è qui all’Italia, che sta scomparendo nel disordine politico e militare ma giudica nemico chi può salvarla.

La cieca cupidigia che v’ammalia
simili fatti v’ha al fantolino
che muor per fame e caccia via la balia.

La cieca cupidigia che seduce voi uomini vi ha resi simili al neonato che muore di fame e caccia via la balia.

Paradiso, canto XXXIII, vv. 106-108

Dante si trova nell’Empireo: il canto si apre con l’invocazione di San Bernardo alla Vergine, che la prega di intercedere nuovamente per il poeta perché possa pervenire alla visione diretta di Dio e possa conservare il suo cuore puro per sempre. Dopo l’intercessione di Maria, Dante fissa lo sguardo nella luce di Dio e scorge in questa mente divina tutto l’Universo e l’essenza che unifica in un tutto armonico le cose create. La mente del poeta è così interamente rapita:  ormai Dante riconosce che la sua incapacità di ridire diventa sempre più grande, ed è come il balbettio di un bambino così piccolo che ancora bagna la sua lingua sulla mammella della madre, per nutrirsi del suo latte.

Omai sarà più corta mia favella,
pur a quel ch’io ricordo, che d’un fante
che bagni ancor la lingua a la mammella.

D’ora in poi il mio linguaggio sarà ancor più inadeguato, anche per quel poco che io ricordo, di quello di un neonato che bagni ancora la bocca al seno (che venga ancora allattato).

Fanciullo e madre

Paradiso, canto XXII, vv. 1-9

Dante si trova nel settimo cielo di Saturno, tra gli spiriti contemplativi che salgono e scendono i gradini di una scala d’oro di cui non si scorge la fine.  Ad inizio canto il poeta è sopraffatto dallo stupore per il grido degli spiriti contemplativi dopo le parole di Pier Damiani e si volge quindi verso la sua guida, Beatrice, che gli parla come una madre che consola il figlio, ricordando al poeta che si trova in cielo e che lì ogni cosa nasce da giusto zelo.

Oppresso di stupore, a la mia guida
mi volsi, come parvol che ricorre
sempre colà dove più si confida;

e quella, come madre che soccorre
sùbito al figlio palido e anelo
con la sua voce, che ’l suol ben disporre,

mi disse: «Non sai tu che tu se’ in cielo?
e non sai tu che ’l cielo è tutto santo,
e ciò che ci si fa vien da buon zelo?

Sopraffatto dallo stupore, mi volsi verso la mia guida (Beatrice), come un bambino che ricorre sempre a colei (la madre) nella quale ha maggior fiducia;

e quella (Beatrice), come una madre che soccorre subito il figlio pallido e angosciato con la sua voce, che è solita tranquillizzarlo,

mi disse: «Non sai di essere in Paradiso? E non sai che in Paradiso tutto è santo, e ciò che avviene in esso deriva da ardore per il bene?

Geometra

Paradiso, canto XXXIII, vv. 133-136

Dante si trova nell’Empireo: il canto si apre con l’invocazione di San Bernardo alla Vergine, che la prega di intercedere nuovamente per il poeta perché possa pervenire alla visione diretta di Dio e possa conservare il suo cuore puro per sempre. Dopo l’intercessione di Maria, Dante fissa dapprima lo sguardo nella luce di Dio – scorgendo in questa mente divina tutto l’Universo e l’essenza che unifica in un tutto armonico le cose create – e successivamente si sofferma ad osservare il secondo cerchio (il Figlio). Il poeta così paragona se stesso al geometra che tanto si concentra per calcolare le misure del cerchio, ma non riesce a individuare col ragionamento quel principio matematico che gli serve per risolvere il problema: Dante, infatti, cerca di capire quale sia il rapporto tra l’immagine e il cerchio, benché le sue sole forze siano insufficienti.

Qual è ’l geomètra che tutto s’affige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’elli indige,

tal era io a quella vista nova:

Come lo studioso di geometria che impegna tutto se stesso per misurare la quadratura del cerchio, e non ritrova nella sua mente, pur pensandoci a lungo quel principio di cui ha bisogno,

così ero io di fronte a quella straordinaria visione:

Indeciso

Inferno, canto II, vv. 37-42

In questo canto Dante rivela a Virgilio i dubbi sull’impresa che dovrà affrontare nel viaggio, confrontandosi con Enea e san Paolo e sentendosi, quindi, in difetto rispetto ai due: egli non è certo il futuro fondatore di un nuovo impero, come il primo, né ha la dignità del secondo. Il poeta, attraverso una similitudine, concretizza il suo stato d’animo, preoccupato e incerto sul da farsi: per chiarire il suo pensiero, introduce la similitudine di colui che, meditando su ciò che aveva previsto di intraprendere, di fronte alle nuove difficoltà che si presentano, ritorna sui suoi passi. Una similitudine dunque con l’animo umano, quando le scelte iniziali possono essere facilmente soffocate dall’insorgere di grosse difficoltà che si prospettano nell’impresa da avviare. Paragonando il proprio viaggio nel mondo dell’aldilà a quello di Enea e di san Paolo, Dante non può che denunciare differenze incolmabili per la natura dei protagonisti che li hanno effettuati.

E qual è quei che disvuol ciò che volle
e per novi pensier cangia proposta,
sì che dal cominciar tutto si tolle,

tal mi fec’ io ’n quella oscura costa,
perché, pensando, consumai la ’mpresa
che fu nel cominciar cotanto tosta.

E come è colui che non vuole più quello che voleva prima e cambia proposito in seguito a pensieri diversi da quelli precedenti, tanto che si allontana del tutto ciò che stava per intraprendere,

così mi comportai io sulla pendice del colle divenuta scura (per l’avvicinarsi della notte), perché, pensando e ripensando, esaurii quell’impresa che tanto rapidamente avevo intrapreso.

Madre

Inferno, canto XXIII, vv. 37-42

Dante e Virgilio scampano ai Malebranche, andando verso la sesta bolgia dell’ottavo cerchio (Malebolge), in cui sono puniti gli ipocriti: coperti da grandi cappucci di piombo rivestiti d’oro all’esterno, perché in vita nascosero il loro vero animo, camminano calpestando Caifa, Anna e i membri del sinedrio, crocefissi a terra. Secondo Dante, i diavoli che hanno subito l’inganno e la beffa potrebbero essere molto arrabbiati, e consiglia di nascondersi: infatti, subito dopo, i due poeti vedono i Malebranche volare verso di loro per afferrarli. Il maestro, con la stessa sollecitudine con cui una madre afferra il figlioletto e lo porta fuori dalla casa in fiamme, in piena notte, pur vestendo solo una camicia, afferra prontamente Dante e insieme a lui si cala lungo il pendio che porta alla sesta bolgia.

Lo duca mio di sùbito mi prese,
come la madre ch’al romore è desta
e vede presso a sé le fiamme accese,

che prende il figlio e fugge e non s’arresta,
avendo più di lui che di sé cura,
tanto che solo una camiscia vesta;

La mia guida subito mi afferrò come la madre che si è destata al rumore (del fuoco) e vede presso di sé le fiamme dell’incendio,

la quale afferra il figlio e fugge senza fermarsi, avendo cura più di lui che di se stessa, tanto che indossa solo una camicia;

Purgatorio, canto XXX, vv. 79-81

Dante si trova nel Paradiso Terrestre, dove all’apparizione di Beatrice segue la scomparsa del maestro Virgilio: questo, provoca nel poeta un enorme dolore. La beata lo invita così a non piangere ancora per la dipartita del maestro, in quanto dovrà versare altre lacrime per altri motivi. Beatrice ha un atteggiamento duro e intransigente: gli sembra tanto severa quanto lo è la madre che rimprovera aspramente il figlio.

Così la madre al figlio par superba,
com’ ella parve a me; perché d’amaro
sente il sapor de la pietade acerba.

Così la madre appare severa al figlio come ella parve a me, perché sa di amaro il sapore dell’affetto materno espresso in aspri rimproveri.

Paradiso, canto I, vv. 100-105

Il canto inizia con il proemio della cantica e la successiva ascensione di Dante e Beatrice al Paradiso; successivamente, la beata risolverà i due dubbi del poeta relativi all’ordine dell’Universo. Beatrice, con un sospiro di compassione per l’incapacità di comprendere le cose dello spirito che Dante rivela, volge adesso lo sguardo verso di lui, come fa una madre verso un bambino che dice cose prive di senso.

Ond’ella, appresso d’un pio sospiro,
li occhi drizzò ver’ me con quel sembiante
che madre fa sovra figlio deliro,

e cominciò: «Le cose tutte quante
hanno ordine tra loro, e questo è forma
che l’universo a Dio fa simigliante.

Per cui ella, dopo un compassionevole sospiro, rivolse gli occhi verso di me con lo stesso atteggiamento di una madre verso il figlio delirante,

e cominciò: «Tutte le cose possiedono un ordine armonioso, e questo è il principio che rende l’universo immagine di Dio.

Marinaio

Inferno, canto XVI, vv. 133-136

Dante si trova nel terzo girone del settimo cerchio, in cui sono puniti i violenti contro natura (tra cui i sodomiti). Dopo aver parlato con tre Fiorentini illustri, i due poeti continuano il cammino giungendo sull’orlo del baratro che segna il passaggio tra il settimo e l’ottavo cerchio. Dante vede un’enorme figura avvicinarsi nuotando nell’aria scura e densa, simile al marinaio che torna in superficie dopo essersi immerso per sciogliere l’ancora impigliata o rimuovere un altro ostacolo, che ritrae le gambe per darsi la spinta e salire.

sì come torna colui che va giuso
talora a solver l’àncora ch’aggrappa
o scoglio o altro che nel mare è chiuso, 

che ’n sù si stende, e da piè si rattrappa.

Proprio come il marinaio che va sott’acqua a sciogliere l’ancora che si è impigliata o a rimuovere un altro ostacolo dentro il mare, e che (nel tornare a galla) stende le braccia verso l’alto e ritrae le gambe (per darsi maggiore slancio).

Malato

Inferno, canto XVII, vv. 85-88

Dante si trova nel terzo girone del settimo cerchio, in cui sono puniti i violenti contro natura (tra cui i sodomiti). Virgilio convince Gerione a trasportarli fino all’ottavo cerchio: a quelle parole, Dante è colto da paura e trema come chi è colpito dal ribrezzo della febbre, tuttavia l’ammonimento del maestro lo spinge a eseguire l’ordine e si siede sulle spalle del mostro.

Qual è colui che sì presso ha ’l riprezzo
de la quartana, c’ha già l’unghie smorte,
e triema tutto pur guardando ’l rezzo,                            

tal divenn’io a le parole porte; 

Come colui che ha così vicino il ribrezzo della febbre quartana che ha già le unghie livide, e trema tutto solo guardando l’ombra,

così divenni io nell’udire quelle parole;

Montanaro

Purgatorio, canto XXVI, vv. 67-70

Dante si trova nella settima cornice, tra i lussuriosi: gli spiriti si muovono nelle fiamme cantando al Signore e gridando esempi di virtù e castità. Sono divisi in due schiere, una delle quali è formata dai lussuriosi contro natura (sodomiti). Uno dei lussuriosi si rivolge al poeta, chiedendo come fosse possibile che egli faccia ombra, come se fosse ancora in vita in quel luogo dell’Oltretomba; Dante, così, risponde che il suo corpo non è rimasto sulla terra ma è lì con lui. Questa terzina si apre con una nuova similitudine che accomuna lo stupore delle anime alla vista e alla coscienza del corpo mortale di Dante a quello del montanaro che, sceso dalle sue terre, rozzo e selvatico, giunge in città e ammutolisce osservando lo splendore delle case e dei palazzi.

Non altrimenti stupido si turba
lo montanaro, e rimirando ammuta,
quando rozzo e salvatico s’inurba,

che ciascun’ ombra fece in sua parut

Come un montanaro stupefatto si turba quando, rozzo e selvatico, entra in città, e meravigliandosi ammutolisce, non diversamente

ciascuna ombra apparve nel suo aspetto (stupefatta e muta),

Naufrago

Inferno, canto I, vv. 22-27

Dante è smarrito nella selva oscura: non sa dire come c’è finito, poiché era pieno di sonno quando ha perso la giusta strada. A un tratto però, mentre sta albeggiando, si ritrova ai piedi di un colle: la paura del poeta sperduto nella selva si associa a quella del naufrago che, scampato al pericolo del mare in tempesta, si volge indietro e osserva le onde insidiose che hanno minacciato la sua vita. Alla stessa maniera Dante si volge indietro a guardare quella selva oscura che irretisce nelle sue ombre il viandante, conducendolo alla perdizione.

E come quei che con lena affannata,
uscito fuor del pelago a la riva,
si volge a l’acqua perigliosa e guata,

così l’animo mio, ch’ancor fuggiva,
si volse a retro a rimirar lo passo
che non lasciò già mai persona viva. 

E come il naufrago che con respiro affannato, scampato al mare e raggiunta la riva, si volge indietro verso l’acqua in cui ha corso pericolo di vita e la osserva fissamente,

così anche il mio animo, ancora in fuga (dal pericolo), si volse indietro a guardare di nuovo la selva che non lasciò mai viva alcuna persona.

Ninfe

Purgatorio, canto XXIX, vv. 4-8

Dante si trova nel Paradiso Terrestre. Matelda, dopo aver dichiarato beati coloro i cui peccati sono stati coperti dal perdono, inizia a risalire lentamente il corso del fiume Lete, simile ad antiche ninfe boscherecce che giravano sole per le foreste.

E come ninfe che si givan sole
per le salvatiche ombre, disiando
qual di veder, qual di fuggir lo sole,                            

allor si mosse contra ‘l fiume, andando
su per la riva

E come le ninfe vagavano da sole fra le ombre dei boschi, alcune desiderando di vedere il sole e altre di sfuggirlo,

allora la donna iniziò a risalire il fiume, costeggiandone la riva

Padrone

Paradiso, canto XXIV, vv. 148-154

Dante si trova nell’ottavo cielo delle Stelle Fisse, tra gli spiriti trionfanti. Beatrice prega san Pietro di esaminare la fede di Dante e le risposte del poeta ricevono l’approvazione del santo. Così, come un padrone ascolta dal servo una buona notizia e poi lo abbraccia congratulandosi con lui non appena quello tace, così san Pietro benedice Dante cantando e girando intorno a lui tre volte, non appena il poeta finisce di parlare.

Come ‘l segnor ch’ascolta quel che i piace,
da indi abbraccia il servo, gratulando
per la novella, tosto ch’el si tace;                           

così, benedicendomi cantando,
tre volte cinse me, sì com’io tacqui,
l’appostolico lume al cui comando 

io avea detto: sì nel dir li piacqui!   

Come il padrone che ascolta quello che vuole sentire, quindi abbraccia il servo felicitandosi per la buona notizia, non appena quello tace;

così, benedicendomi e cantando, il lume apostolico (san Pietro) al cui comando io avevo parlato mi girò attorno tre volte, non appena io tacqui:

a tal punto gli erano piaciute le mie parole!

Pellegrino

Purgatorio, canto XXIII, vv. 16-21

Dante si trova nella sesta cornice, tra i golosi: queste anime sono terribilmente magre perché non possono mangiare i frutti dell’albero, né bere dell’acqua della sorgente. Insieme a Virgilio e Stazio incontra le anime dei penitenti che procedono spediti e li guardano sorpresi, senza fermarsi.

Sì come i peregrin pensosi fanno,
giugnendo per cammin gente non nota,
che si volgono ad essa e non restanno,  

così di retro a noi, più tosto mota,
venendo e trapassando ci ammirava
d’anime turba tacita e devota.    

E come si comportano i pellegrini raccolti nei loro pensieri quando, durante il cammino, raggiungono gente sconosciuta e si volgono a loro ma non si fermano a parlare,

così una turba di anime silenziose e devote avanzava più velocemente di noi e oltrepassandoci mostrava segni di meraviglia.

Sarto

Inferno, canto XV, vv. 13-21

Dante si trova nel terzo girone del settimo cerchio, dove sono puniti i violenti contro natura. Insieme a Virgilio procede lungo l’argine del Flegetonte, quando scorge le anime dei sodomiti che si avvicinano e guardano i due con lo stesso atteggiamento di chi, incontrando una persona durante la notte quando non c’è la luce della luna, stringe gli occhi e aguzza la vista e proprio come fanno i vecchi sarti quando devono infilare l’ago nella cruna.

quando incontrammo d’anime una schiera
che venìan lungo l’argine, e ciascuna
ci riguardava come suol da sera

guardare uno altro sotto nuova luna;
e sì ver’ noi aguzzavan le ciglia
come ’l vecchio sartor fa ne la cruna. 

E già ci eravamo allontanati dalla selva (dei suicidi) tanto che non riuscivo più a vederla, benché mi fossi rivolto indietro, quando incontrammo una schiera di anime che avanzavano lungo l’argine e ciascuna ci guardava come quando di sera

una persona suole guardare un’altra al tempo della luna nuova; e aguzzavano gli occhi come succede al vecchio sarto quando deve infilare il filo nella cruna dell’ago.

Paradiso, canto XXXII, vv. 139-141

Dante si trova nel decimo cielo, l’Empireo. Successivamente alla spiegazione di san Bernardo riguardo la disposizione dei beati nella rosa, il santo invita il poeta a contemplare il volto di Maria, in quanto solo il suo splendore può permettergli di sostenere la visione di Cristo. San Bernardo, poi, indica le anime più nobili della rosa ma è costretto a fermarsi in quanto il tempo concesso a Dante sta per finire, invitandolo a indirizzare lo sguardo verso Dio, nella cui mente egli potrà penetrare attraverso il suo alto fulgore.

Ma perché ’l tempo fugge che t’assonna,
qui farem punto, come buon sartore
che com’ elli ha del panno fa la gonna; 

Ma poiché fugge il tempo destinato al tuo viaggio, qui ci fermiamo come il buon sarto che a seconda della quantità di stoffa che ha adatta la forma della gonna;

Silenziosi

Inferno, canto XXIII, vv. 1-3

Dante e Virgilio passano dalla quinta alla sesta bolgia dell’ottavo cerchio, in cui sono puniti gli ipocriti. All’inizio del canto, i due poeti procedono soli lungo l’argine della quinta bolgia, silenziosi come frati minori.

Taciti, soli, sanza compagnia
n’andavam l’un dinanzi e l’altro dopo,
come frati minor vanno per via.

Silenziosi e soli, senza altri insieme a noi, andavamo uno dietro l’altro, come i frati minori che vanno per strada.

Similitudini con luoghi geografici

Friande e Brenta

Inferno, canto XV, vv. 4-12

Dante si trova nel terzo girone del settimo cerchio, dove sono puniti i violenti contro natura. Insieme a Virgilio procede lungo uno degli argini di pietra del Flegetonte, alti e spessi, simili alle dighe costruite dai Fiamminghi per difendersi dai flutti marini e dai Padovani per proteggere città e castelli dalle piene del Brenta.  La prima similitudine riguarda la regione delle Fiandre, una delle aree che fa parte oggi dello stato del Belgio e comprende la parte costiera del paese che si affaccia sul Mare del Nord; i Fiamminghi sono il gruppo etnico che storicamente ha popolato quella zona. Wissant (oggi francese) e Bruges sono i vertici opposti di una lunga diga che già al tempo di Dante era stata creata per difendere il territorio dai danni provocati dalle alte maree che periodicamente invadevano la parte interna del paese.  La seconda similitudine sposta lo sguardo del lettore su un’area più vicina e conosciuta, quella del fiume Brenta la cui sorgente è in Alto Adige, fra Tirolo e Valsugana, e che al tempo di Dante, quando i primi caldi primaverili scioglievano le nevi delle montagne, si gonfiava d’acque e allagava l’area della pianura padana intorno a Padova; per questo erano stati creati degli argini più alti lungo il fiume per frenare la violenza delle alluvioni.

Quali Fiamminghi tra Guizzante e Bruggia,
temendo ’l fiotto che ’nver lor s’avventa,
fanno lo schermo perché ’l mar si fuggia; 

e quali Padoan lungo la Brenta,
per difender lor ville e lor castelli,
anzi che Carentana il caldo senta:

a tale imagine eran fatti quelli,
tutto che né sì alti né sì grossi,
qual che si fosse, lo maestro felli.

Come gli Olandesi fra il territorio di Wissant (al confine francese, presso Calais) e di Bruges (a nord, verso l’Olanda), temendo le onde del mare in tempesta che si scatenano contro loro, creano dei ripari per tenere lontane [si fuggia] le acque;

e come i Padovani lungo il fiume Brenta, prima che Chiarentana (valle della Carinzia) sciolga le sue nevi al caldo, (creano ripari) per difendere le loro ville e i loro castelli,

ugualmente erano fatti quei ripari, però non così alti né così imponenti chiunque sia stato l’artefice che li ha costruiti.

Ismeno e Asopo

Purgatorio, canto XVIII, vv. 91-96

Dante si trova nella quarta cornice, in cui sono puniti gli accidiosi. Il poeta incontra la schiera dei dannati: la corsa delle anime è paragonata a quella dei Tebani che correvano durante i riti orgiastici in onore di Bacco, lungo i fiumi Ismeno e Asopo in Beozia.

E quale Ismeno già vide e Asopo
lungo di sè di notte furia e calca,
pur che i Teban di Bacco avesser uopo,                 

cotal per quel giron suo passo falca,
per quel ch’io vidi di color, venendo,
cui buon volere e giusto amor cavalca.

E come i fiumi Ismeno e Asopo videro di notte una folla che correva furiosamente lungo il loro corso, quando i Tebani avevano bisogno di Bacco,

nello stesso modo in quella Cornice chi è cavalcato da buona volontà e giusto amore curva il proprio passo (corre a grandi falcate), come io vidi fare a quelle anime.

Monviso, Forlì, San Benedetto

Inferno, canto XVI, vv. 94-105

Dante si trova nel terzo girone del settimo cerchio, dove sono puniti i violenti contro natura. Dopo l’incontro con tre fiorentini, il poeta e il maestro arrivano all’orlo del cerchio, dove il Flegetonte si getta in basso: il suono è tanto forte da coprire le loro voci. Dante paragona il Flegetonte alla cascata formata dall’Acquacheta presso San Benedetto nell’Appennino tosco-emiliano, fiume che cambia nome arrivato vicino a Forlì.

Come quel fiume c’ha proprio cammino
prima dal Monte Viso ’nver’ levante,
da la sinistra costa d’Apennino,

che si chiama Acquacheta suso, avante
che si divalli giù nel basso letto,
e a Forlì di quel nome è vacante,

rimbomba là sovra San Benedetto
de l’Alpe per cadere ad una scesa
ove dovea per mille esser recetto;

così, giù d’una ripa discoscesa,
trovammo risonar quell’acqua tinta,
sì che ’n poc’ ora avria l’orecchia offesa.

Come quel fiume che, primo tra quelli che nascono dal versante sinistro dell’Appennino, (per chi guarda) dal Monviso verso oriente, ha un corso interamente suo,

il quale nella parte superiore si chiama Acquacheta, prima di scendere giù nel suo alveo in pianura, e a Forlì non ha più quel nome

rimbomba sopra San Benedetto dell’Alpe per il fatto che precipita attraverso una sola cascata ove dovrebbe essere ricevuto da mille (cascate);

così, dopo un balzo scosceso, trovammo quell’acqua oscura che risuonava così forte che avrebbe in poco tempo danneggiato l’udito.

Monteriggioni

Inferno, canto XXXI, vv. 40-45

Dante  e Virgilio si avvicinano al pozzo dei giganti: questi cingono il pozzo sepolti nella roccia fino alla vita, e sembrano al poeta le torri che circondano Monteriggioni.

però che come su la cerchia tonda
Montereggion di torri si corona,
così la proda che ’l pozzo circonda                              

torreggiavan di mezza la persona
li orribili giganti, cui minaccia
Giove del cielo ancora quando tuona. 

infatti, come Monteriggioni è coronata di torri sulla cerchia tonda di  mura,

così gli orribili giganti, cui Giove minaccia ancora dal cielo quando emette i tuoni, svettavano come torri sull’argine che circonda il pozzo, emergendo dalla cintola in su.

San Miniato

Purgatorio, canto XII, vv. 100-108

Dante  e Virgilio salgono dalla prima alla seconda cornice. Come a Firenze, per salire al monte dove ha sede la basilica di S. Miniato, che domina dall’alto la città così ben governata, si possono usare delle scale realizzate sul fianco della montagna costruite nel tempo in cui a Firenze non c’era la corruzione odierna, allo stesso modo la parete del Purgatorio che conduce alla seconda cornice è meno ripida dove c’è la scala, ma è stretta tra le rocce.

Come a man destra, per salire al monte
dove siede la chiesa che soggioga
la ben guidata sopra Rubaconte,                                

si rompe del montar l’ardita foga
per le scalee che si fero ad etade
ch’era sicuro il quaderno e la doga;                          

così s’allenta la ripa che cade
quivi ben ratta da l’altro girone;
ma quinci e quindi l’alta pietra rade. 

Come sul lato destro, per salire al monte dove sorge la chiesa (S. Miniato) che domina la città ben governata (Firenze) sopra Rubaconte,

la ripida parete diventa più lieve grazie a delle scale che furono costruite in un’epoca in cui il quaderno e la doga erano più sicure;

così la parete del monte, che cade ripidissima dall’altra Cornice, diventa più dolce, ma l’alta roccia la stringe da una parte e dall’altra.

Trento

Inferno, canto XII, vv. 4-15

Dante in questo canto fa ingresso nella prima cornice del settimo cerchio, dove sono puniti i violenti contro il prossimo: i dannati sono immersi in un fiume di sangue bollente, il Flegetonte, come in vita sparsero il sangue degli altri, e sono colpiti dalle frecce dei centauri. Per arrivare al settimo cerchio, Dante e Virgilio giungono a un dirupo scosceso come la frana sul fianco della montagna prima di Trento, dove la roccia è così impraticabile da non consentire il passaggio.

Qual è quella ruina che nel fianco
di qua da Trento l’Adice percosse,
o per tremoto o per sostegno manco,

che da cima del monte, onde si mosse,
al piano è sì la roccia discoscesa,
ch’alcuna via darebbe a chi sù fosse:

cotal di quel burrato era la scesa;
e ’n su la punta de la rotta lacca
l’infamia di Creti era distesa

che fu concetta ne la falsa vacca;
e quando vide noi, sé stesso morse,
sì come quei cui l’ira dentro fiacca.

Quale è la frana che a valle di Trento colpì in una delle sue rive l’Adige, o a causa di un terremoto o per l’erosione del terreno,

in modo che dalla vetta della montagna, dalla quale la frana si staccò, alla pianura il pendio è così inclinato da non offrire alcuna via d’uscita a chi si trovasse in alto: 

così era la discesa di quel burrone; e sull’orlo della costa franata era disteso il Minotauro, la vergogna di Creta,

che fu concepito nella finta vacca; e, quando ci vide, morse se stesso come colui che internamente è consumato dall’ira.

Venezia

Inferno, canto XXI, vv. 7-18

Dante si trova nella quinta bolgia dell’ottavo cerchio, in cui sono puniti i barattieri: coloro che, privi di morale, hanno vissuto con inganni e truffe e sono quindi immersi nella pece bollente perché in vita usarono arti nere. Insieme a Virgilio, Dante giunge al punto più alto del ponte che sovrasta la bolgia e, osservando il fondo, lo vede incredibilmente scuro: per rendere più vivida la scena che si presenta ai suoi occhi, Dante ricorre a una similitudine che riporta alla frenetica attività dell’arsenale di Venezia dove gli uomini sono impegnati nel lavoro di ristrutturazione di navi che hanno subito danni nel corso della navigazione. Una grande varietà di mestieri vengono proposti e si precisano con una serie di termini tecnici, di cui il poeta probabilmente venne a conoscenza quando, trovandosi a Venezia, ebbe modo di osservare da vicino quanto si svolgeva in quel luogo della città. Il secondo termine di paragone della similitudine riconduce all’Inferno, allorché Dante riporta lo sguardo del lettore alla pece densa della bolgia che non ribolliva per il fuoco prodotto dagli uomini, ma per volere di Dio e che ricopriva col suo strato colloso e compatto ogni luogo e imprigionava ogni dannato.

Quale ne l’arzanà de’ Viniziani
bolle l’inverno la tenace pece
a rimpalmare i legni lor non sani,

ché navicar non ponno – in quella vece
chi fa suo legno novo e chi ristoppa
le coste a quel che più viaggi fece;

chi ribatte da proda e chi da poppa;
altri fa remi e altri volge sarte;
chi terzeruolo e artimon rintoppa –;

tal, non per foco, ma per divin’ arte,
bollia là giuso una pegola spessa,
che ’nviscava la ripa d’ogne parte.

Come nell’arsenale dei Veneziani la tenace pece bolle d’inverno per spalmare di nuovo le navi mal ridotte

poiché non possono navigare – e invece di navigare alcuni costruiscono una nave nuova e altri chiudono con la stoppa le falle aperte nelle fiancate di quella che ha fatto più viaggi;

alcuni danno colpi di martello a prua e altri a poppa; alcuni fabbricano remi ed altri attorcigliano la canapa per farne funi; alcuni rattoppano la vela minore e altri quella maggiore–:

così, non a causa del fuoco, ma per opera di Dio, bolliva laggiù una pece densa, che aderiva viscosamente dappertutto alle pareti della bolgia.