II Ponticello

canto XVIII, vv. 100-102

Brano n. 3 (01:49)

Già eravam là ’ve lo stretto calle
con l’argine secondo s’incrocicchia,
e fa di quello ad un altr’ arco spalle.

E già eravamo là dove lo stretto passaggio del ponte si
incontra con la seconda bolgia e fa da appoggio [spalle]
ad un altro arco di ponte.

Pindarico

P.f. a 4 mani – La sua entrata è idealmente prevista dopo il verso 102, canto XVIII

Il titolo Pindarico, assegnato al brano del II ponticello, simula un cammino ardito, complesso e pericoloso, simile ad un volo acrobatico che, nel caso pianistico, è simulato dai numerosi e ardui arpeggi presenti in partitura.

II bolgia

Adulatori

Gemiti ingolati

Brano n. 4 (02:10)

Suoni registrati e suoni elettronici idealmente riferita a canto XVIII, v. 103-canto XIX, v. 39

Pena e Azioni: I dannati giacciono nello sterco umano ed emettono terribili lamenti.

Contrappasso: sono immersi nello sterco poiché in vita si insozzarono moralmente con i loro falsi comportamenti e le lodi oltre misura.

Suoni utilizzati per la composizione della II bolgia

Registrazione di voci umane, maschili e femminili, che emettono tutte e cinque le vocali;

Registrazione di suoni metallici, graffianti;

Suoni elettronici creati al computer con l’ausilio di software e hardware professionali. 

Elementi strutturali della parte elettronica (immagine scenico-sonora)

La scena sonora ideata per la II bolgia, dal titolo Gemiti ingolati, simula lamenti di voci umane, dannati immersi nello sterco che si dimenano e non riescono a liberarsi. I suoni lamentosi sono insozzati da suoni graffianti e cupi. Chiude questa scena un lungo e doppio lamento in eco: è quello di Taide, la prostituta, min. 01:50.

Mentre ascolti il brano musicale puoi leggere i versi del Canto XVIII e se lo desideri puoi anche consultare la parafrasi.

Canto XVIII

Quindi sentimmo gente che si nicchia
ne l’altra bolgia e che col muso scuffa,
e sé medesma con le palme picchia.

Le ripe eran grommate d’una muffa,
per l’alito di giù che vi s’appasta,
che con li occhi e col naso facea zuffa.

Lo fondo è cupo sì, che non ci basta
loco a veder sanza montare al dosso
de l’arco, ove lo scoglio più sovrasta.

Quivi venimmo; e quindi giù nel fosso
vidi gente attuffata in uno sterco
che da li uman privadi parea mosso.

[ … ]

Appresso ciò lo duca «Fa che pinghe»,
mi disse, «il viso un poco più avante,
sì che la faccia ben con l’occhio attinghe

di quella sozza e scapigliata fante
che là si graffia con l’unghie merdose,
e or s’accoscia e ora è in piedi stante.

Taide è, la puttana che rispuose
al drudo suo quando disse “Ho io grazie
grandi apo te?”: “Anzi maravigliose!”.

Canto XVIII

Di qui udimmo gente che emetteva gemiti soffocati [si nicchia]
nell’altra bolgia e soffiava rumorosamente [scuffa] con la bocca e
le narici [col muso], e percuoteva se stessa con le palme aperte.

Le sponde erano incrostate [grommate] di muffa, per le esalazioni
[l’alito] che, provenendo dal basso, vi si appiccicavano formando
come una pasta, la quale irritava [facea zuffa] la vista e l’olfatto.

Il fondo è così cupo che non si riesce a vederlo, a meno che non
si monti sulla parte più alta [al dosso] del ponte [de l’arco] che lo
sovrasta.

Venimmo qui e da qui vidi giù nel fosso gente immersa in uno
sterco che sembrava provenire dalle latrine [privadi] degli uomini.

[ … ]

E dopo ciò Virgilio mi disse: «Fai in modo di spingere [pinghe]
lo sguardo un po’ più avanti, così da raggiungere [attinghe] con gli
occhi la faccia

di quella sudicia e scarmigliata prostituta [fante]
che si graffia laggiù con le unghie lorde,
e ora si sdraia a terra e ora è dritta in piedi.

È Taide, la meretrice che al suo amante [drudo], quando costui le
chiese “Ho io grandi meriti presso [apo] di te?” rispose: “Più che
grandi, straordinari!”

Canto XIX

Già eravamo, a la seguente tomba,
montati de lo scoglio in quella parte
ch’a punto sovra mezzo ’l fosso piomba.

O somma sapïenza, quanta è l’arte
che mostri in cielo, in terra e nel mal mondo,
e quanto giusto tua virtù comparte! 

Io vidi per le coste e per lo fondo
piena la pietra livida di fóri,
d’un largo tutti e ciascun era tondo.

[ … ]

Fuor de la bocca a ciascun soperchiava
d’un peccator li piedi e de le gambe
infino al grosso, e l’altro dentro stava.

Le piante erano a tutti accese intrambe;
per che sì forte guizzavan le giunte,
che spezzate averien ritorte e strambe.

Canto XIX

Già eravamo saliti, nella bolgia [tomba] seguente, su quel tratto del
ponte che cade perpendicolarmente [piomba] proprio [a punto] sulla
parte centrale della bolgia.

O grande sapienza di Dio, quanto è grande l’operato [l’arte] che
dimostri in cielo, in terra, nel mondo infernale e con quanta
giustizia la tua potenza [virtù] distribuisce [comparte]!

Io vidi lungo le pareti [coste] di questa bolgia e sul suo fondo, che
la livida roccia era bucata da fori tutti larghi uguali a tutti circolari.

[ … ]

Fuori dall’orlo [bocca] di ciascun foro uscivano i piedi e le gambe di
ciascun peccatore, fino al polpaccio [grosso], e il resto del corpo era
nascosto dentro.

Le piante dei piedi erano tutte infuocate, per cui le loro giunture
guizzavano così forte che avrebbero spezzato funi di vimini [ritorte]
e corde di erbe [strambe]