Dieci luoghi malsani – III Ponticello

III Ponticello

canto XIX, vv. 40-42

Brano n. 5 (01:17)

Allor venimmo in su l’argine quarto;
volgemmo e discendemmo a mano stanca
là giù nel fondo foracchiato e arto.

Allora giungemmo al quarto argine; ci rivoltammo 
indietro e discendemmo per il lato sinistro [a mano stanca], nel fondo pieno di fori e malagevole [arto].

Canone blues

P.f. a 4 mani – La sua entrata è idealmente prevista dopo il verso 42, canto XIX

Il titolo Canone blues, assegnato al brano del III ponticello, indica una composizione contrappuntistica a due voci (a forma di canone) strutturata su un ritmo blues (note blu, note tristi): è come se i due protagonisti Dante e Virgilio si comunicassero le loro condizioni di forte tristezza e malinconia.

III bolgia

Simoniaci

Magnifica mea culpa

Brano n. 6 (02:36)

Suoni registrati e suoni elettronici idealmente riferita a canto XIX, v. 43–canto XX, v. 3

Pena e Azioni: i simoniaci sono confitti a testa in giù in questi pozzi, dai quali fuoriescono solo i loro piedi con le piante in fiamme; i dannati sbattono le gambe fortissimamente.

Contrappasso: i dannati che preferirono capovolgere le leggi di Dio ora sono capovolti eternamente e costretti a non vedere la luce.

Suoni utilizzati per la composizione della III bolgia 

Registrazione vocale del salmo 50 di David Miserere, cantato da tre voci maschili, poi elaborato e trasformato a 13 voci; 

Registrazione di oggetti legnosi, plastici e metallici battuti l’uno contro l’altro;

Registrazione di un suono lungo e continuo dello scarico del water.

Elementi strutturali della parte elettronica (immagine scenico-sonora)

La scena sonora ideata per la III bolgia, dal titolo Magnifica mea culpa, rappresenta i simoniaci condannati a stare a testa in giù. Essi fanno risalire i loro lamenti attraverso il canto di un “Miserere confuso” (elaborazione elettroacustica del Miserere di Sessa Aurunca) dato che la loro testa è conficcata nella terra. È un canto straziante, di dannazione e ammissione di colpe enormi. Il canto del “Miserere confuso” è avvolto da un manto sonoro di carattere fangoso e lancinante e un ritmo discontinuo e perenne lo accompagna: il rumore che fanno le gambe dei dannati sbattendo fortissimamente.

Mentre ascolti il brano musicale puoi leggere i versi del Canto XIX e se lo desideri puoi anche consultare la parafrasi.

Canto XIX 

Lo buon maestro ancor de la sua anca
non mi dipuose, sì mi giunse al rotto
di quel che si piangeva con la zanca.

«O qual che se’ che’l di sù tien di sotto,
anima trista come pal commessa»,
comincia’ io a dir, «se puoi, fa motto».

Io stava come’l frate che confessa
lo perfido assessin, che, poi ch’è fitto,
richiama lui per che la morte cessa.

Ed el gridò: «Se’ tu già costì ritto,
se’ tu già costì ritto, Bonifazio?
Di parecchi anni mi mentì lo scritto.

Se’ tu sì tosto di quell’ aver sazio
per lo qual non temesti tòrre a’nganno
la bella donna, e poi di farne strazio?».

[ … ]

E mentr’ io li cantava cotai note,
o ira o coscienza che’l mordesse,
forte spingava con ambo le piote.

I’ credo ben ch’al mio duca piacesse,
con sì contenta labbia sempre attese
lo suon de le parole vere espresse.

Però con ambo le braccia mi prese;
e poi che tutto su mi s’ebbe al petto,
rimontò per la via onde discese.

Né si stancò d’avermi a sé distretto,
sì men portò sovra’l colmo de l’arco
che dal quarto al quinto argine è tragetto.

Quivi soavemente spuose il carco,
soave per lo scoglio sconcio ed erto
che sarebbe a le capre duro varco.

Indi un altro vallon mi fu scoperto.

Canto XIX 

Il mio maestro non mi pose a terra dal suo fianco [anca], finché
non mi accostò al foro [rotto] di colui che tanto intensamente
manifestava il proprio dolore con la gamba [zanca].

«Chiunque tu sia che che hai la parte superiore del corpo [‘l di sù]
in basso, anima dannata piantata [commessa] (nel terreno) come un
palo», cominciai io a dire, «se puoi, parla [fa motto]».

Io ero nella stessa posizione del frate che confessa il perfido
assassino che, dopo essere stato ficcato in una buca richiama il
sacerdote perché la morte sia ritardata [cessa].

Ed egli gridò: «sei già qui dritto in piedi [ritto], Bonifacio? Il libro del
futuro [lo scritto] mi ha ingannato di molti anni

Sei tu dunque sazio di quelle ricchezze [aver] per ottenere le quali
hai avuto il coraggio [non temesti] di ingannare la chiesa [la bella
donna] facendo strazio di lei?».

[ … ]

E mentre io gli dicevo queste parole, fosse rabbia o rimorso ciò
che lo tormentava, scalciava violentemente con entrambi i piedi
 [le piote].

Io credo che alla mia guida piacesse tutto ciò che avevo detto,
perché lo vidi seguire le mie parole veraci con volto molto
soddisfatto [contenta labbia].

Perciò mi prese con entrambe le braccia; e dopo avermi sollevato
all’altezza del petto, risalì per il cammino dal quale [onde] era
disceso.

Né si stancò di tenermi abbracciato strettamente, finché non mi
ebbe portato nel punto più alto del ponte che serve da passaggio
dal quarto al quinto argine.

Qui depose dolcemente il carico (della mia persona), sul ponte
così irto di sporgenze [sconcio] e ripido [erto] che rappresenterebbe
anche per le capre un passaggio malagevole.

Di lì mi si aprì davanti agli occhi un’altra bolgia.

Canto XX

Di nova pena mi conven far versi
e dar matera al ventesimo canto
de la prima canzon, ch’è d’i sommersi.

Canto XX

Ora dovrò [mi convien] scrivere versi riguardo a un’altra pena,
dando materia al ventesimo canto della prima cantica [canzon], che
è quella dei dannati sommersi nell’inferno.

Top